Davide Orsini racconta chi è la sua Lidia Poët: «Un colpo di fulmine»

18 Febbraio 2023

Il teramano ha ideato e scritto la fiction con Matilda De Angelis «Prima donna laureata in legge, non ha mai potuto esercitare»

TERAMO. «Lidia Poët è stata la prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l’iscrizione all’Ordine degli avvocati, ma per oltre trent’anni non ha potuto esercitare l’avvocatura. Con lei la nostra Lidia condivide l’ambizione, la caparbietà, l’ostilità all'idea del matrimonio, il desiderio di indipendenza. La nostra serie è un omaggio alla vera Lidia Poët». C’è del talento abruzzese nella nuova serie Netflix La legge di Lidia Poët, sei episodi dal 15 febbraio sulla piattaforma per i 190 Paesi in cui il servizio è attivo. Lo sceneggiatore teramano Davide Orsini (The Land of Dreams, Generazione 56k) ha ideato e scritto col collega napoletano Guido Iuculano (Romulus) la serie ispirata alla prima avvocata italiana, la torinese Lidia Poët, pioniera dell’emancipazione e indipendenza femminile, interpretata da Matilda De Angelis. La fiction in costume ambientata nella Torino fine Ottocento, diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire e prodotta da Groenlandia, vede interpreti Eduardo Scarpetta (il giornalista Jacopo Barberis), Pier Luigi Pasino (Enrico Poët, fratello di Lidia), Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill (Teresa Barberis, moglie di Enrico, e Marianna, loro figlia), Dario Aita (Andrea Caracciolo). Nel team di sceneggiatura Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo.
Orsini, come avete scoperto questa figura e cosa vi ha colpito?
«Stavamo pensando a un crime ottocentesco, ambientato a Torino, città in fibrillazione in quel periodo, in cui c’erano figure come Cesare Lombroso, Nietzsche, Anna Kuliscioff e altri personaggi importanti che gravitavano nella Torino post-unitaria, che non era più capitale d’Italia ma era una città vivacissima, con le prime fabbriche, la più libera comunità ebraica d’Italia, i circoli anarchici, gli spiritisti. Io e Guido Iuculano volevamo fare un crime storico, in costume, quando ci siamo “scontrati” con questo personaggio incredibile di Lidia Poët. Un colpo di fulmine. A quel punto la serie è finita tutta sulle sue spalle. Cosa ci ha colpito? La sua tenacia.
Iscritta all’Ordine degli avvocati nel 1883, esercitò la professione per pochi mesi, prima che il procuratore si opponesse all’iscrizione con la motivazione che era una donna. Una sentenza della Corte d’Appello di Torino, che riportiamo integralmente nella serie, dichiarò illegittima l’iscrizione. Lei però non si arrese e iniziò a lavorare nello studio legale del fratello Enrico, preparando le cause fino alla fase dibattimentale, da cui era esclusa. In aula andava Enrico»
Come avete costruito personaggio e operato di Lidia?
«Non volevamo fare una biografia. Il nostro racconto è un’ode a Lidia Poët, alla sua forza e intelligenza, al suo anticonformismo. Dopo la revoca dell’iscrizione continua a fare l’avvocato per quarant’anni, lavora tutti i giorni preparando le cause, ma senza andare in aula. Assiste gli indagati cercando la verità dietro apparenze e pregiudizi. Solo nel 1919 con la legge Sacchi è riammessa all’avvocatura. Ci interessava la sua indagine e abbiamo costruito un procedurale investigativo classico, coi casi di puntata, omicidi, indagini, colpi di scena»
A quali riferimenti vi siete ispirati?
«Perry Mason, Sherlock Holmes, La signora in giallo, ma anche Dr. House. La serie, mancando il dibattimento, guarda alla detection, al lato investigativo, ma con protagonista un personaggio molto ibrido e pop. Lidia è un’eroina, lotta contro le convenzioni, dando battaglia col ricorso contro la sentenza della Corte, e cerca l’innocenza degli assistiti indagando in mondi nascosti da esplorare. Nei vari episodi si parla di patriarcato, femminismo, anarchia, spiritismo».
Su quali fonti storiche vi siete basati?
«Fonti bibliografiche per la vita di Lidia, come il libro di Chiara Viale Lidia e le altre. Per le parti di detection le cronache torinesi d’epoca, coi veri casi di nera. Tutte le nostre forzature sono consapevoli perché hanno base storica. Anche gli strumenti e metodi di indagine che emergono nella serie sono novità di quel periodo, dal guanto volumetrico alle impronte digitali all’uso della macchina fotografica, oltre alla nuova scienza criminologica di Lombroso».
Quanto c’è di fantasia negli altri personaggi?
«Jacopo Barberis è inventato, e sono di fantasia moglie e figlia di Enrico Poët. Di lui si sa poco, per noi è il punto di vista dello spettatore. Enrico è incastrato nella rigidità del suo tempo, ma capace di cambiare grazie a Lidia, ciclone che coinvolge tutti. Teresa, invece, moglie di Enrico, è costruita a specchio su Lidia, è la donna tradizionale, custode dei valori della famiglia».