Demi Moore da Oscar: «L’horror è la schiavitù dell’eterna giovinezza»
È in sala “The Substance”: «Questo film mi ha insegnato a sospendere il giudizio impietoso nei miei confronti»
LOS ANGELES,. Premiato a Cannes 2024 per la migliore sceneggiatura, arriva nelle sale italiane “The Substance”, film dalla vena horror horror scritto e diretto dalla francese Coralie Fargeat e interpretato da Demi Moore e Margaret Qualley (distribuito da I Wonder). Moore è Elisabeth Sparkle, unìattrice pluripremiata in passato e ora istruttrice di aerobica in un popolare programma televisivo, che viene licenziata in tronco da un grezzo dirigente di rete (Dennis Quaid).
Senza troppi giri di parole, l’uomo le dice che «a 50 anni, è tutto finito» e che al pubblico bisogna offrire «carne fresca». Elisabeth decide allora di provare un farmaco misterioso che promette di attivare la sua versione più giovane e bella. Dopo una prima iniezione, l’ex star dà vita a Sue, una ragazza angelica e perfetta interpretata da Margaret Qualley. Un’unica regola va rispettata: le due identità dovranno alternarsi ogni sette giorni, in modo che nessuna prevalga sull’altra. «Coraline ha trovato un modo unico di approfondire l’angoscia del tempo che passa e lascia il segno sui nostri corpi e sulle nostre anime. Sapevo che questo ruolo mi avrebbe spinta fuori dalla mia zona di comfort», afferma Demi Moore in conferenza stampa, lei che con “Proposta Indecente”, “Striptease” o “Ghost” e “Soldato Jane” è stata protagonista ad Hollywood e ora, a quasi 62 anni, sa imprimere a Elisabeth sofferenza e rimpianto.
La regola viene ovviamente infranta, innescando una riflessione sul miraggio dell’eterna giovinezza, sull’aspetto fisico come unica chiave per essere accettata nel mondo dello spettacolo e nella società in generale. Lo sguardo audace e grottesco della regista francese (già potente nel precedente thriller-horror “Revenge”) indugia sui fianchi, i sederi, i corpi fatti di carne e sangue di una donna che invecchia in modo repentino e inarrestabile e di una che trionfa nel mondo per la sua bellezza pura e vitale. «Il film non esplora solo il tema dell’invecchiamento, ma anche della violenza che arriviamo a infliggere a noi stessi pur di adempiere agli standard imposti da altri, pur di compiacere lo sguardo altrui. Un'esperienza che ci accomuna tutti, temo», riflette l'attrice che la critica dà già in corsa per l’Oscar, oltre che per Golden Globes e Critics Choice. Il suo contrappeso è Margaret Qualley: la figlia 30enne di Andie Mcdowell, con una carriera già robusta grazie ai ruoli conturbanti in “C'era una volta a... Hollywood” (Once Upon a Time... in Hollywood, 2019) di Quentin Tarantino e nella serie “The Leftovers”. «Sue non è solo giovane e bella, è anche appena nata; nessuna esperienza l’ha ancora fatta soffrire. Risulta un personaggio piuttosto bizzarro, quasi senza cuore», argomenta Qualley. «Però non è superficiale» completa la risposta Moore, con naturale complicità «Margaret spinge Sue in profondità, verso una sofferenza condivisa con Elisabeth, scaturita dal desiderio di essere amata». «Sono cresciuta facendo la ballerina» continua Qualley «ho lavorato brevemente come modella e poi sono diventata attrice: ogni passo di questo percorso ha comportato una pressione incredibile legata all’idea di dover essere perfetta e all’altezza di standard inaccessibili. Per fortuna, anche grazie a film come questo, noi donne stiamo rompendo gli schemi. Sono felice di lavorare a Hollywood oggi e non dieci anni fa». Moore è d'accordo e ammette che recitare in “The Sustance” è stato catartico: «L’idea che noi donne abbiamo fatto nostra, in una sorta di silenzio assenso, è che invecchiando diventiamo meno desiderabili, perdiamo valore. Questo film mi ha insegnato a sospendere il giudizio impietoso nei miei confronti e a concentrarmi e a celebrare tutto ciò che sono, invece di focalizzarmi su ciò che non sono. Ora sono più libera».
Senza troppi giri di parole, l’uomo le dice che «a 50 anni, è tutto finito» e che al pubblico bisogna offrire «carne fresca». Elisabeth decide allora di provare un farmaco misterioso che promette di attivare la sua versione più giovane e bella. Dopo una prima iniezione, l’ex star dà vita a Sue, una ragazza angelica e perfetta interpretata da Margaret Qualley. Un’unica regola va rispettata: le due identità dovranno alternarsi ogni sette giorni, in modo che nessuna prevalga sull’altra. «Coraline ha trovato un modo unico di approfondire l’angoscia del tempo che passa e lascia il segno sui nostri corpi e sulle nostre anime. Sapevo che questo ruolo mi avrebbe spinta fuori dalla mia zona di comfort», afferma Demi Moore in conferenza stampa, lei che con “Proposta Indecente”, “Striptease” o “Ghost” e “Soldato Jane” è stata protagonista ad Hollywood e ora, a quasi 62 anni, sa imprimere a Elisabeth sofferenza e rimpianto.
La regola viene ovviamente infranta, innescando una riflessione sul miraggio dell’eterna giovinezza, sull’aspetto fisico come unica chiave per essere accettata nel mondo dello spettacolo e nella società in generale. Lo sguardo audace e grottesco della regista francese (già potente nel precedente thriller-horror “Revenge”) indugia sui fianchi, i sederi, i corpi fatti di carne e sangue di una donna che invecchia in modo repentino e inarrestabile e di una che trionfa nel mondo per la sua bellezza pura e vitale. «Il film non esplora solo il tema dell’invecchiamento, ma anche della violenza che arriviamo a infliggere a noi stessi pur di adempiere agli standard imposti da altri, pur di compiacere lo sguardo altrui. Un'esperienza che ci accomuna tutti, temo», riflette l'attrice che la critica dà già in corsa per l’Oscar, oltre che per Golden Globes e Critics Choice. Il suo contrappeso è Margaret Qualley: la figlia 30enne di Andie Mcdowell, con una carriera già robusta grazie ai ruoli conturbanti in “C'era una volta a... Hollywood” (Once Upon a Time... in Hollywood, 2019) di Quentin Tarantino e nella serie “The Leftovers”. «Sue non è solo giovane e bella, è anche appena nata; nessuna esperienza l’ha ancora fatta soffrire. Risulta un personaggio piuttosto bizzarro, quasi senza cuore», argomenta Qualley. «Però non è superficiale» completa la risposta Moore, con naturale complicità «Margaret spinge Sue in profondità, verso una sofferenza condivisa con Elisabeth, scaturita dal desiderio di essere amata». «Sono cresciuta facendo la ballerina» continua Qualley «ho lavorato brevemente come modella e poi sono diventata attrice: ogni passo di questo percorso ha comportato una pressione incredibile legata all’idea di dover essere perfetta e all’altezza di standard inaccessibili. Per fortuna, anche grazie a film come questo, noi donne stiamo rompendo gli schemi. Sono felice di lavorare a Hollywood oggi e non dieci anni fa». Moore è d'accordo e ammette che recitare in “The Sustance” è stato catartico: «L’idea che noi donne abbiamo fatto nostra, in una sorta di silenzio assenso, è che invecchiando diventiamo meno desiderabili, perdiamo valore. Questo film mi ha insegnato a sospendere il giudizio impietoso nei miei confronti e a concentrarmi e a celebrare tutto ciò che sono, invece di focalizzarmi su ciò che non sono. Ora sono più libera».