Di Nella, il creatore di Arrostiland: «Io, il primo rost manager della storia»

Parla l’inventore di “Stecche e fornacelle”, l’evento di Pasquetta che richiama quasi 30mila persone: «Non ci guadagno, siamo un format sociale»
TORRE DE’ PASSERI. Fausto Di Nella, da Ortona, è diventato un personaggio da quando gestisce un’inedita sagra di carne alla brace che sta a metà strada fra il concerto Woodstock e una finale di Coppa dei Campioni.
Buongiorno, parlo con l’inventore di Arrostiland?
(Ride) Sono solo l’uomo che ha sintetizzato un racconto collettivo.
Chiamalo “racconto”: ormai è un evento che muove - verso l’Abruzzo - decine di migliaia di persone da tutta la penisola.
Se la mettiamo su questo piano posso definirlo così: siamo di certo il più grande evento di arrosteria d’Italia. Anche il più grande d’Europa, credo.
È pronto a rispondere alle domande che si fanno tutti?
Con molto piacere.
Qual è il vostro segreto?
(Scuote la testa) Nessun segreto.
Chi c’è dietro?
(Ride) Nessuno.
Come si fa a muovere migliaia di persone senza una macchina organizzativa?
Con il telefonino e le mail. Persone che si organizzano da sole, su Internet e nelle chat.
Avete messo su la “curva Sud” dell’Arrosticino.
In che senso?
Ci sono ottomila persone, il cosiddetto “gregge”, che da mesi hanno prenotato su Internet. Chi li ha trovati questi?
Nessuno: loro stessi si auto organizzano.
Parliamo anche dei soldi?
Molto volentieri. Non ci sono misteri, è tutto rendicontato.
I Comuni che ogni anno vincono il vostro bando mettono insieme 80mila euro. Chi ci guadagna?
Nessuno. È tutto autofinanziamento.
E i profitti?
(Sospiro) Quali profitti?
Non mi dirà che ha già speso tutto il suo tesoretto.
Le dirò di più. All’ultimo momento, per motivi di sicurezza, la protezione civile ci ha chiesto di predisporre trecento estintori certificati con sigillo. Costano due decine di migliaia di euro che non avevamo previsto.
E chi li paga?
(Risata) Ecco, è questo il bello: li stiamo cercando. Se ci dà una mano anche lei saremmo contenti.
Come funziona Arrostiland?
È la cosa più antica e semplice del mondo: bastano poche regole basilari per entrare nel gioco.
Quali?
Tu ti porti la carne, la brace, e noi – il Comune prescelto e l’organizzazione – ti diamo lo spazio e i servizi per partecipare.
Guadagnate vendendo la carne?
No. Quasi tutti se la portano da casa.
Sulla brace?
Idem.
Ma come avete fatto a costruire questo fenomeno in soli otto anni?
Non ci crederà. Tutto è nato da un commento su Facebook, nel 2016, sulla pagina ‘Abbruzzo di Morris’.
Non ci credo infatti. Una gruppo nato su internet?
Una pagina nata per gioco, in occasione di una partita della nazionale del centrocampista, e idolo dei pescaresi, Birkir Bjarnason.
Dove si tiene la prima edizione?
A Roccascalegna.
Come mai proprio lì?
Avevo chiesto: “Chi ci mette a disposizione un monumento?”. Rispose il sindaco: “Se venite vi do il castello”.
Bellissimo.
Il bello è che accettammo per questo, e poi non ce lo fece fare.
E come andò?
Ah ah ah. Che sfiga.
Cioè?
Scegliemmo luglio: “Almeno stiamo sicuri col tempo!”.
E cosa accadde?
C’erano otto gradi! Un freddo cane.
Però anche tante persone.
Duemila e cinquecento.
Era nato il suo format.
Che in realtà consisteva nel primo piano sicurezza che abbiamo scritto.
E il nome?
Eravamo partiti con pretese intellettuali, arrostàn arrostàn, per citare il film “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. Che era girato proprio a Roccascalegna.
Serve una laurea in storia del cinema per capirlo!
Infatti. In quei giorni iniziai a parlare di una “Tomorroland abruzzese”. Era ancora troppo lungo.
E poi?
Passiamo a Lanciano al Cavalluccio.
E poi diventa un concorso tra comuni.
Gli ultimi a vincere sono stati Vacri e Tollo. Due successi.
Ho cercato i nomi dei greggi su Google: “Brace e martello”, “Leadersheep”, “Pecorinha”, “Il trono di spiedi”… è satira?
Sono i più seri. C’è molta energia creativa, diciamo. Pensi che il trono esiste davvero, fatto tutto di stecchette d’arrosticino.
I casi più curiosi?
C’è un gregge da Trento, uno da Barcellona, uno da Bologna, da Milano, dal Tronto, dal Molise, dalla Campania e dalla Puglia.
Quanto si paga?
Dieci euro a persona. E ti ritrovi tavolo, panche e corrente elettrica.
Ma lei cosa fa nella vita?
Mi occupo di enoturismo, da consulente, con diverse realtà abruzzesi.
E come è diventato un “rost manager”?
È complicato.
Proviamo a raccontare.
Ero in Estonia.
Ah.
Lavoravo ad un progetto di Leonardo per un Erasmus post laurea. Io in teoria sarei un geologo.
Cosa c’entra la geologia con le braci?
Nulla. Ma avevo vissuto un’esperienza molto bella, e fondato un sito di italiani, l’Estonia in mezzo ai boschi.
Si era ambientato?
Parlo anche estone. In fondo, dico sempre, è come parlare abruzzese.
Cioè?
Ti possono capire poco più di un milione di persone. Ma poi sono quelle giuste.
E poi?
Ho inventato il cammino di San Tommaso da Roma ad Ortona. Da lì sono passato al vino.
Che c’entra?
Vi svelo un segreto: se non sei ricco, per vivere in Abruzzo puoi occuparti solo di automotive o di vino.
Ah ah ah. Prosegua.
Ero felice della prima edizione, ma non era andata come volevo. Scegliamo Crecchio grazie a Nico Sciotti, proprietario della Fantini vini. A novembre 2016 – il giorno di San Martino – cresciamo, ma il periodo era sbagliato.
E quindi?
Ragionando scegliamo di farlo a Pasquetta: festa dell’arrostita per ogni abruzzese.
E non erano tutti già impegnati?
Lo dicevano molti. Ma io teorizzai: raggruppiamo gli abruzzesi e diamogli un posto per fare la Pasquetta. Scegliemmo Montebello di Bertona, grazie al suo vice sindaco, Emanuele Pavone. Due edizioni: la prima 5mila, la seconda10mila persone. Pazzesco. Il bello è che ci dicevano: “Come potremo ripeterlo?”. Capii che ogni nuovo comune ci insegnava qualcosa.
E poi dove siete andati?
A Villa Celiera: una giornata un po’ fredda, di nuovo diecimila persone. Non eravamo più una start up. Guidavamo un esercito di fornacelle.
Mi spieghi il segreto di un arrosticino, se lo ha scoperto.
A parte la migliore carne? Avere almeno un metro e mezzo di brace, arroventato in alluminio ben pulito, meglio se caricata con carbone argentino.
Argentino?
Per me restituisce la migliore qualità di brace. Però le devo svelare un alto segreto.
Quale?
Arrostiland non è “la festa dell’arrosticino”.
Mi sta prendendo in giro?
L’arrosticino è il mezzo, non il fine. L’obiettivo è la socializzazione di un’esperienza collettiva.
Cos’è l’abruzzesità in Arrostiland, se dovesse sintetizzare?
Stare insieme, e divertirsi, davanti alla brace.
Tutto qui?
Le pare poco?
Cosa la rende orgoglioso?
Otto anni, otto edizioni, non un commento negativo.
La pagano gli industriali della carne?
Magari. Mai fatto un convegno sull’arrosticino. E mi avrebbero dato qualsiasi cifra per sponsorizzarlo.
Come si spiega l’Abruzzo ad un Estone?
(Ride) Devo sempre geolocalizzare. È casa. È un posto magnifico molto vicino a Roma. Basta questo.
Dove è cresciuto?
A Contrada Feudo, Ortona. È un posto dove c’è brava gente. Possiamo stare con le porte aperte e le chiavi appese.
Così pare un idillio.
Lo è. Ma a parte le beghe dei muretti, per cui si può sparare, si vive bene: i ragazzi hanno un gruppo WhatsApp per segnalare le macchine strane e difendere il territorio.
Ma lei non ci abita più.
(Sospirone) Chi me lo doveva dire? Per un ortonese finire a Lanciano per amore è il colmo.
Mi spiega perché?
Nel 1250 scoppia una guerra tra Lanciano e Ortona per il Porto di San Vito.
Molto attuale, vero?
Nel tempo di Trump moltissimo. Ortona metteva i dazi per le merci di Lanciano, se passavano per il porto.
E cosa accadde?
Quella che oggi chiamano escalation. Il Papa chiamò San Giovanni da Capestrano che aveva respinto i persiani. E lo mandò a mettere pace.
Come finì?
Con il famoso lodo di Capestrano: una pace zero a zero.
E il porto?
Lanciano non poté occuparlo. Ma ancora oggi ci sono tracce storiche da film horror.
Cioè?
(Pausa) I lancianesi impastarono una colonna con le orecchie e i nasi amputati agli ortonesi. Sta su corso Roma.
E quando ci passa davanti?
Penso due cose: l’Abruzzo è tutto così, campanilismo e passioni.
E poi?
Che a me con Maura è andata meglio dei miei concittadini incolonnati.
Maura Amoroso, animatrice dell’omonima agenzia di viaggi di Lanciano. Vi siete conosciuti sul cammino di San Tommaso.
Esatto. Quando lo consiglio spiego: a me ha portato l’amore!
Si definisce “abruzzese di mare”.
Sull’Adriatico di marinaro ci sono solo Venezia, Ortona, Termoli e Bari. Stop.
Si farà tanti amici.
Tanti condividono una cultura internazionale del mare, da Giulianova a Pescara. Ma il porto nel Dna è un’altra storia.
Cosa non le piace quando si parla di Abruzzo?
I luoghi comuni.
Cosa le piace degli abruzzesi?
Non siamo ricchi, e quindi lavoriamo sempre. E poi ascoltiamo e ci mettiamo in gioco. Siccome siamo piccoli, diventiamo cittadini del modo.
Ha scelto Torre de’ Passeri perché pagava di più?
Ah ah ah. Ho scelto l’unico comune che non ha messo a bilancio un capitolo di spesa per Arrostiland.
Si vuole raccontare come un benefattore?
No, ormai parto dalla logistica: è centrale, raggiungibile da ben tre caselli – uno si intasa sempre – c’è una comunità viva, e la stazione nel paese. Oggi ci manca qualche soldino, lunedì non mancherà nulla.
Se avesse voluto guadagnarci?
Potevo fare una trident alla Jovanotti. Però mi si rompeva il giocattolo. E non mi divertivo.
Facciamoci altri nemici. Mi dice un arrosticino da favola?
I migliori che ho mangiato sono quelli di macelleria Antonacci di Loreto Aprutino. Anche Pompa di Spoltore.
Tutto qui?
Vado spesso a pulire le stecche da Celentano alle Querce a Villa Celiera.
Lei si dice figlio d’arte.
Mia madre fa la cuoca all’agriturismo l’Antico feudo. Si chiama Anna Petrucci, è originaria di Penne.
E suo padre?
Era capo cantoniere, si chiama Domenico.
E cosa le hanno insegnato, visto che lei fa un altro mestiere?
(Ride di gusto) Che se in Abruzzo trovi la strada, e sai dove mangiare, sei l’uomo più ricco del mondo.
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