Il Flaiano Film Festival di Milani: saremo Pop con la commedia star
La rassegna pescarese dal 29 giugno al 6 luglio al Circus Il regista: con Monicelli ho capito che far ridere è atto di coraggio
PESCARA. Tutti i colori del Pop per vestire il Flaiano Film Festival targato Riccardo Milani, nuovo direttore artistico della rassegna cinematografica pescarese e relativi Premi arrivata all’importante traguardo della 45esima edizione, la prima senza Edoardo Tiboni che l’ha voluta, ideata e ostinatamente portata avanti fino alla scomparsa, qualche mese fa, e ora timonata, come la Fondazione a lui dedicata, dalla figlia Carla.
Il regista romano con l’Abruzzo nel cuore e nello sguardo – scelto spesso come set per i suoi film: da “La guerra degli Antò” del 1990 girato anche a Montesilvano a “Scusate se esisto” del 2014, con Raoul Bova e Paola Cortellesi nello scenario di Anversa, e nel mezzo “Auguri Professore” del ’97 con tanti ciak nella Valle del Giovenco e ancora “Il posto dell’anima” girato prevalentemente tra Vasto e Pescasseroli – ha presentato ieri al Mediamuseum il nuovo Fff, che dal 29 giugno al 6 luglio prenderà vita nella sala del Circus.
Riflettori come da tradizione sulla commedia, con 25 film in programmazione ancora top secret, ma la proposta viene ampliata con quattro sezioni: una sarà dedicata alle Opere prime di registi italiani, in collaborazione con il Mibact e una giuria di cento spettatori che decreterà i vincitori; una seconda al Cinema restaurato in collaborazione con le cineteche di Bologna e Roma (e tra i titoli che filtrano ecco capolavori come “L’Atalante” di Jean Vigo, “Eraserhead” di David Lynch, “Visages Villages” di Agnès Varda); quindi una sezione centrata sulla figura della donna e poi un’altra con pellicole in lingua originale.
Prezzi popolarissimi: 10 euro l’abbonamento (su ciaotickets.it le prevendite) e ingressi di 1,50 euro per abbonati Trenitalia, Coop Alleanza 3.0, soci dell’associazione Flaiano.
Ma «non sarà solo il prezzo del biglietto a rendere questo Festival “popolare”», chiarisce subito Milani. «Mi piace quando il cinema si avvicina al pubblico, e credo fortemente che la commedia, il suo modo di raccontare il Paese e gli italiani, sappia farlo. Sì, spero di contribuire ad abbattere un po’ il muro tra cinema e pubblico», aggiunge girandosi leggermente (quanto inevitabilmente) verso le gigantografie alle sue spalle che ritraggono i sorrisi sornioni di Alberto Sordi, Mario Monicelli, Vittorio Gassman... Insomma i mostri sacri della Commedia all’italiana che poi spuntano da ogni angolo del Mediamuseum, «un luogo speciale», sottolinea il regista, «dove la memoria è vitale».
«Per me essere il direttore artistico di questo festival che porta il nome di Ennio Flaiano è un punto di arrivo. Sono orgoglioso e onorato di questo ruolo. Non posso fare a meno di pensare a Monicelli, ho avuto la fortuna di lavorare con lui negli anni ’80, ero un giovane cinefilo agguerrito e ricordo che mi avventurai in un discorso sulla censura nel cinema, sostenendo che per lui che prediligeva la commedia non aveva peso. E lui mi raccontò che non era per nulla così e di come, per esempio, “Totò e Carolina” avesse subito tagli continui, vuoi per l’immagine di un carabiniere, vuoi per una battuta su un prete e così via. La sceneggiatura era di Flaiano, e questo la dice lunga sull’incisività di quella ironia».
«Così cominciai a capire quanto la commedia avesse un peso “sociale”. Approfondii questo discorso con il maestro ancora anni dopo, girando “Il solito noto - Ritratto di Mario Monicelli” (1999). Ho imparato così quanto i film popolari potessero incidere e graffiare». «Certo quelli di questi cineasti è stata una stagione meravigliosa di opere che col sorriso trattavano temi caldi, a volte drammatici, penso a Sordi “Medico della mutua” o al suo “Finché c’è guerra c’è speranza” sul traffico d’armi: oggi sembra impensabile affrontare argomenti del genere con la commedia, sembrano temi esclusivi del cinema d’autore. Coraggiosi».
Milani è dunque a suo agio a dirigere una rassegna che affonda le radici negli anni d’oro del genere. «Voglio andare in direzione dei giovani», aggiunge, «quelli che non conoscono “Il Sorpasso” o “C’eravamo tanto amati”, e così non può essere». Dunque c’è da aspettarsi la migliore commedia d’oggi in rassegna. «La commedia che racconta il Paese: la selezione va in questa direzione. Non sono di quelli abituati a parlare male dell’Italia, del suo cinema. Siamo un Paese importante, ma siamo avvezzi a parlarne male. Molte cose che avvengono sono responsabilità nostra. Flaiano era feroce nel ritrarre tic e difetti delle persone, dell’italiano, non dei politici. Ci raccontava e sbranava».
Accanto alla commedia rassegne da cinefili, tra film in lingua originale e pellicole restaurate: «Trovo giusto dare spazio a molti film di nicchia e di qualità, perché non necessariamente nicchia e qualità coincidono».
Nei lavori di Milani – che tra l’altro ha vinto due Premi Flaiano, uno per la Tv uno per il Cinema – tanto Abruzzo: «In questa regione ho imparato l’attaccamento alla terra, l’amore per l’identità e colgo bene la distinzione tra cultura contadina e industriale, qui questa contraddizione è forte e si sente. Inoltre io lavoro molto sul “divorzio” attuale tra periferie e centro. Ecco tutto questo spesso mi riporta qui da voi».
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