“Internatite”: il diario di Mikuletic, rinchiuso nei campi abruzzesi
CASOLI. Una «voce inascoltata dai campi fascisti» fu quella di Fortunat Mikuletic, avvocato sloveno rinchiuso per due anni nei campi di concentramento fascisti di Corropoli e Casoli tra il 1941 e il...
CASOLI. Una «voce inascoltata dai campi fascisti» fu quella di Fortunat Mikuletic, avvocato sloveno rinchiuso per due anni nei campi di concentramento fascisti di Corropoli e Casoli tra il 1941 e il 1943. Quella “voce” si fa sentire oggi con la pubblicazione in italiano di un suo libro in lingua slovena di cinquant’anni fa, Internatite, stampato un mese fa dall’editore romano Round Robin e pochi giorni fa presentato a Trieste e poi a Lubiana, in Slovenia, dove ha avuto una vasta risonanza mediatica, e che sarà presentato oggi a Casoli.
Si tratta di un “egodocumento”, spiega nella sua densa introduzione il curatore e scopritore del testo sloveno, Giuseppe Lorentini, lo studioso dell’Università del Molise che dieci anni fa portò alla ribalta nazionale il campo di Casoli, che tra il 1940 e il 1943 ospitò più di trecento internati, in un primo tempo ebrei e poi sloveni. È una visione dall’interno dei campi, scritta da Mikuletic poco dopo la sua fuga da Casoli, con una forma narrativa diaristica, e quindi personalissima, una cronistoria della vita quotidiana nei campi, dove gli internati vivevano stretti negli spazi, nella promiscuità, in condizioni igieniche precarie, assediati dalle cimici e dalla fame. Il racconto di Mikuletic è però ironico, a volte umoristico, soffermandosi su personaggi che nella loro vita normale stavano un po’ ai margini della società, e che all’autore, avvocato di un certo rilievo nella Trieste prebellica, suscitano una sorta di simpatia umana e di vicinanza ben distinta da altri internati di diverso ceto sociale.
L’autore è poliglotta, fa da interprete con le autorità locali, ma è soprattutto un osservatore acuto e “curioso”, come annota lui stesso, di tutto quello che circonda i due campi (l’antica Badia a Corropoli, il Palazzo Tilli a Casoli), comprese le processioni religiose che a lui appaiono stranissime. Quella del Venerdì Santo a Casoli gli sembra un vero e proprio funerale, descrivendola nei dettagli, e in quella del Corpus Domini si sofferma ad osservare e descrivere l’avvenente “contessa”, proprietaria col marito del Palazzo Tilli, che in paese viene ancora ricordata. Nelle belle giornate l’autore si sofferma a mirare il largo panorama creato dal fiume Aventino, proprio lì dove troverà rifugio dopo l’8 settembre, nella masseria di Giuseppe Verlengia nella frazione di Pianibbie. Ma la parola ricorrente del libro è un neologismo creato dallo stesso autore, “internatite”, una malattia morale sviluppatasi nei luoghi chiusi di internamento forzato, quando si è privati della libertà, come testimoniano alcuni dipinti e disegni del pittore sloveno Ljubo Ravnikar, internato anche lui a Casoli e anche lui malato di “internatite”.