La scoperta del Mammut: al MundA video e foto del ritrovamento 70 anni fa

21 Gennaio 2024

La documentazione per immagini degli scavi del marzo 1954 all’Aquila è stata ceduta dalla famiglia Santarelli al Museo nazionale d’Abruzzo

L’AQUILA. Un percorso a ritroso del tempo, prima di settant’anni poi di un milione e trecentomila anni, nel Pleistocene inferiore. Settant’anni è il periodo che intercorre dal primo rinvenimento dei resti del Mammut all’Aquila: il 25 marzo 1954, nella Fornace Santarelli a Madonna della Strada, frazione di Scoppito. L’esemplare, tra i più completi rinvenuti in Europa, venne ritrovato in una cava di argilla utilizzata per la produzione di laterizi, sul piano antistante al fronte di cava, durante un saggio di perforazione per ricerca d’acqua.
Nel banco di sabbia immediatamente sottostante alle argille, a meno di un metro di profondità, l’incredibile scoperta. In realtà, le prime segnalazioni di resti fossili di elefante risalgono all’Ottocento e riportano i rinvenimenti a Pagliare di Sassa, nelle vicinanze della chiesa di San Pietro, ma il sito di Madonna della Strada resta il giacimento più importante.
Quella scoperta eccezionale fu documentata con foto, pubblicazioni e video. Il 31 marzo di quell’anno, l’Istituto Luce realizzò un documentario dal titolo “Uscito della Preistoria”, alcuni frammenti del quale, non inclusi nella versione mandata in onda, sono parte dell’archivio privato del presidente di Abruzzo Film Commission, Piercesare Stagni, e da lui divulgati in visione al Museo nazionale d'Abruzzo. Proprio in questi giorni il MundA ha acquisito, attraverso la generosità di due famiglie, Santarelli e Pietrosanti, una rilevante documentazione, parzialmente inedita, sul ritrovamento del fossile. Le eredi dell’ingegner Mario Santarelli, Cecilia ed Eugenia, proprietarie della cava attiva fino agli anni ‘70, hanno donato 23 foto originali scattate nel momento della scoperta e stampate dallo studio Ludovico Carli dell’Aquila.
Ieri la cerimonia al Forte Spagnolo all’Aquila. La narrazione ufficiale, riportata su testi scientifici pubblicati dall’Istituto di Paleontologia dell’Università di Roma che seguì i lavori, cita testualmente: «Durante un saggio di perforazione per ricerca di acqua, si è trovato lo scheletro dell’elefante…». Più precisamente, nelle parole degli operai della cava, raccolte anni fa dalla famiglia Santarelli, emerge una ricostruzione più dettagliata: «Le macchine di scavo», si legge in un documento, «avevano superato di molto il sito del ritrovamento e operavano più avanti perché il deposito di argilla era esaurito. Rimanevano gli strati sottostanti di sabbie, raccolte a braccia e badile, usate per separare i mattoni appena trafilati di argilla fresca, umida, che venivano poi impilati sui carrelli destinati all’essiccazione. Appunto un badile si imbatté in qualcosa di duro, un «cucuzzolo» biancastro che non voleva saperne di fuoriuscire dalla sabbia e impegnava lo scavo sempre più profondo. A poco a poco veniva fuori la zanna…». La seconda donazione riguarda la famiglia Pietrosanti: 6 foto originali e parzialmente inedite oltre a due volumi della professoressa Angiola Maria Maccagno, L’Elephas Meridionalis Nesti di Contrada Madonna della Strada, Scoppito (1962) e Relazione sulla tecnica di scavo, restauro e montaggio dell’elefante fossile rinvenuto presso L’Aquila (1958). «Nel corso del 2024», assicura la direttrice del museo Federica Zalabra, «il MundA si farà promotore di una serie di iniziative che celebreranno questa ricorrenza, anche con interventi sul territorio, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Scoppito. Oltre alla sala nel Bastione Est del Castello che ospita il Mammut, stiamo lavorando per l’allestimento di più spazi nell’arco del 2024. Sarà possibile tornare a visitare il percorso delle Contromine e la sala Chierici, lì dove il nostro laboratorio di restauro entrerà a contatto con il pubblico».