«La storia insegna che una pandemia cambia tutto»
La scrittrice marsicana di seguitissimi romanzi nell’antica Roma racconta la sua vita «protetta»
AVEZZANO. Disordini sociali, tensioni, riti sacrificali, ma anche paura, disorientamento e “caccia all’untore”. La storia delle grandi epidemie ci consegna una serie di avvertimenti legati a pandemie come quella che stiamo vivendo. Si pensi, ad esempio, alla storia dell’antica Roma: circa 1.500 anni fa, ai tempi di Giustiniano, un’epidemia devastante mise in ginocchio l’impero romano colpendo lo stato Bizantino e l’interno bacino mediterraneo, fino a segnare la fine di un’epoca di splendore che è al centro dei romanzi di Emma Pomilio, scrittrice marsicana 64enne.
I suoi libri, editi da Mondadori, sono ambientati nell’antica Roma: ha esordito nella narrativa nel 2005 con il romanzo storico Dominus che racconta la rivolta di Spartaco; con Il ribelle ha aperto la serie “Il romanzo di Roma” curata da Valerio Massimo Manfredi. Nel 2015 ha scritto il giallo storico La vespa nell’ambra, ambientato durante la dittatura di Cesare. Lo scorso anno è uscito I Tarquini - La Dinastia segreta, ambientato nella Roma dei Re.
Signora Pomilio, lei ha parlato più volte del grande peso dei libri, scritti e letti, sul suo percorso vita. Il valore resta intatto in questi giorni?
La lettura è stata per me fin da bambina fonte di esperienza e sapere, un valore aggiunto. Poche persone leggevano con tale assiduità, posso asserire che mi ha educato più la lettura che la scuola. Ho sempre amato rileggere: ogni volta il libro è diverso, poiché lo scrive anche il lettore con le sue emozioni e riflessioni. Un libro in uno scaffale è solo carta e inchiostro, il libro prende vita mentre viene letto. Così in questo momento può essere interessante rileggere un libro che ci ha colpito particolarmente, lo percepiremo in modo diverso, e sarà riscritto in modo diverso nel nostro immaginario.
In che modo la storia può aiutarci a capire le dinamiche sociali legate a una pandemia?
La storia si ripete e ha molto da insegnarci. Apparentemente cambiamo perché abbiamo nuove conoscenze, ci evolviamo, ma dentro di noi rimane sempre il lato oscuro della superstizione e delle paure ancestrali. La storia ci insegna che nelle grandi calamità, e soprattutto durante le epidemie, si facevano sacrifici agli dèi per impetrarne il perdono: gli antichi credevano che le epidemie fossero una punizione perché non avevano rispettato i patti con gli dèi. Sacrifici di animali, ma anche bambini, giovani, schiavi. Oggi molti di noi pensano che il coronavirus sia una punizione per i nostri peccati, per la nostra società decadente. La storia ci insegna che quando con le pestilenze morivano persone preposte all’ordine si generavano disordini, e con la mancanza di cibo assalti alle derrate. Cose che potrebbero succedere anche ora. Ma non è finita, la storia ci insegna che con la paura e il disorientamento si fa la caccia all’untore. Vedo che già molte persone protestano indignate per i furbetti che aggirano i divieti. Ciò potrebbe portare a episodi di violenza. E infine, a corollario, la storia ci insegna che, se l’epidemia durasse molto, potrebbero cambiare il nostro pensiero e i nostri orientamenti.
Roma è protagonista assoluta dei suoi romanzi: casa la lega a questa città, inquadrata nei secoli dell’impero?
Quando ho deciso di cominciare a scrivere dei romanzi storici ho scelto Roma perché si è imposta nel mio immaginario con i suoi spettacolari monumenti molto presto nella mia vita. Da piccola spesso mio padre mi portava ad Alba Fucens, dove mi affascinava particolarmente il sistema di riscaldamento dell’ipocausto, allora tentavo di immaginare la vita in quelle stanze, uomini, donne bambini, legionari. Ma sapevo anche che non lontano casa mia c’era una grande opera idraulica dell’antichità, l’emissario del lago Fucino, costruito dall’imperatore Claudio. Da bambina mi piacevano le gite a Pompei. Dovevano tenermi a bada, perché scappavo a guardare ogni angoletto delle domus. L’università l’ho fatta nella capitale e là, tra millenni di storia, Roma mi ha affascinato ancora di più.
La pandemia al tempo dell'imperatore Giustiniano, la peste Antonina (165-180 d.C.), che ruolo ebbero le epidemie nel sistema geopolitico dell’impero?
La fine dell’impero romano si è verificata per molte cause concomitanti, ma certo le epidemie, insieme ai cambiamenti climatici, ebbero un ruolo importantissimo. Si stima che nell’impero al tempo di Giustiniano siano morte tra trenta e cinquanta milioni di persone, metà della popolazione. Quando i collegamenti sono limitati anche gli agenti patogeni si arrestano, ma nell’impero romano, primo mondo globale, con strade che arrivavano dovunque e permettevano viaggi rapidi, le malattie, come la peste Antonina, hanno viaggiato rapidamente, trasportate soprattutto dagli eserciti, ma anche da mercanti in terra e in mare. Le epidemie hanno creato un grande calo demografico.
E lei come vive questo tempo?
Trascorro tutto il tempo in casa e mi sto impigrendo. Mio marito e mia figlia non mi fanno uscire. Lavorano tutti in campo sanitario e dicono che io non so usare la mascherina. Mi trattano come una “gallinella di paese non sa muoversi in città”. Dicono che non basta possedere i presìdi, ma bisogna anche saperli usare. Fanno loro la spesa, proteggono me e gli altri e mi riportano tante cose buone. Così ieri ho cotto i cannellini. Molto morbidi, tradizione di famiglia. Poi ho cucinato pesce con fagioli. In una pentola larga ho fatto un sughetto con datterini cipolla e peperoncino, a parte ho dorato filetti di merluzzo, ho aggiunto i filetti al sugo e in ultimo ho versato i cannellini, rimestando con delicatezza. Qualche foglia di basilico et voilà.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I suoi libri, editi da Mondadori, sono ambientati nell’antica Roma: ha esordito nella narrativa nel 2005 con il romanzo storico Dominus che racconta la rivolta di Spartaco; con Il ribelle ha aperto la serie “Il romanzo di Roma” curata da Valerio Massimo Manfredi. Nel 2015 ha scritto il giallo storico La vespa nell’ambra, ambientato durante la dittatura di Cesare. Lo scorso anno è uscito I Tarquini - La Dinastia segreta, ambientato nella Roma dei Re.
Signora Pomilio, lei ha parlato più volte del grande peso dei libri, scritti e letti, sul suo percorso vita. Il valore resta intatto in questi giorni?
La lettura è stata per me fin da bambina fonte di esperienza e sapere, un valore aggiunto. Poche persone leggevano con tale assiduità, posso asserire che mi ha educato più la lettura che la scuola. Ho sempre amato rileggere: ogni volta il libro è diverso, poiché lo scrive anche il lettore con le sue emozioni e riflessioni. Un libro in uno scaffale è solo carta e inchiostro, il libro prende vita mentre viene letto. Così in questo momento può essere interessante rileggere un libro che ci ha colpito particolarmente, lo percepiremo in modo diverso, e sarà riscritto in modo diverso nel nostro immaginario.
In che modo la storia può aiutarci a capire le dinamiche sociali legate a una pandemia?
La storia si ripete e ha molto da insegnarci. Apparentemente cambiamo perché abbiamo nuove conoscenze, ci evolviamo, ma dentro di noi rimane sempre il lato oscuro della superstizione e delle paure ancestrali. La storia ci insegna che nelle grandi calamità, e soprattutto durante le epidemie, si facevano sacrifici agli dèi per impetrarne il perdono: gli antichi credevano che le epidemie fossero una punizione perché non avevano rispettato i patti con gli dèi. Sacrifici di animali, ma anche bambini, giovani, schiavi. Oggi molti di noi pensano che il coronavirus sia una punizione per i nostri peccati, per la nostra società decadente. La storia ci insegna che quando con le pestilenze morivano persone preposte all’ordine si generavano disordini, e con la mancanza di cibo assalti alle derrate. Cose che potrebbero succedere anche ora. Ma non è finita, la storia ci insegna che con la paura e il disorientamento si fa la caccia all’untore. Vedo che già molte persone protestano indignate per i furbetti che aggirano i divieti. Ciò potrebbe portare a episodi di violenza. E infine, a corollario, la storia ci insegna che, se l’epidemia durasse molto, potrebbero cambiare il nostro pensiero e i nostri orientamenti.
Roma è protagonista assoluta dei suoi romanzi: casa la lega a questa città, inquadrata nei secoli dell’impero?
Quando ho deciso di cominciare a scrivere dei romanzi storici ho scelto Roma perché si è imposta nel mio immaginario con i suoi spettacolari monumenti molto presto nella mia vita. Da piccola spesso mio padre mi portava ad Alba Fucens, dove mi affascinava particolarmente il sistema di riscaldamento dell’ipocausto, allora tentavo di immaginare la vita in quelle stanze, uomini, donne bambini, legionari. Ma sapevo anche che non lontano casa mia c’era una grande opera idraulica dell’antichità, l’emissario del lago Fucino, costruito dall’imperatore Claudio. Da bambina mi piacevano le gite a Pompei. Dovevano tenermi a bada, perché scappavo a guardare ogni angoletto delle domus. L’università l’ho fatta nella capitale e là, tra millenni di storia, Roma mi ha affascinato ancora di più.
La pandemia al tempo dell'imperatore Giustiniano, la peste Antonina (165-180 d.C.), che ruolo ebbero le epidemie nel sistema geopolitico dell’impero?
La fine dell’impero romano si è verificata per molte cause concomitanti, ma certo le epidemie, insieme ai cambiamenti climatici, ebbero un ruolo importantissimo. Si stima che nell’impero al tempo di Giustiniano siano morte tra trenta e cinquanta milioni di persone, metà della popolazione. Quando i collegamenti sono limitati anche gli agenti patogeni si arrestano, ma nell’impero romano, primo mondo globale, con strade che arrivavano dovunque e permettevano viaggi rapidi, le malattie, come la peste Antonina, hanno viaggiato rapidamente, trasportate soprattutto dagli eserciti, ma anche da mercanti in terra e in mare. Le epidemie hanno creato un grande calo demografico.
E lei come vive questo tempo?
Trascorro tutto il tempo in casa e mi sto impigrendo. Mio marito e mia figlia non mi fanno uscire. Lavorano tutti in campo sanitario e dicono che io non so usare la mascherina. Mi trattano come una “gallinella di paese non sa muoversi in città”. Dicono che non basta possedere i presìdi, ma bisogna anche saperli usare. Fanno loro la spesa, proteggono me e gli altri e mi riportano tante cose buone. Così ieri ho cotto i cannellini. Molto morbidi, tradizione di famiglia. Poi ho cucinato pesce con fagioli. In una pentola larga ho fatto un sughetto con datterini cipolla e peperoncino, a parte ho dorato filetti di merluzzo, ho aggiunto i filetti al sugo e in ultimo ho versato i cannellini, rimestando con delicatezza. Qualche foglia di basilico et voilà.
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