Laico e nostalgico, “Chi era Flaiano?”
Il libro di Pamio e Ferri scava tra segni e disegni nella natura del grande pescarese
PESCARA. Intransigente nella sua purezza intellettuale, Ennio Flaiano incarna l’idea di una libertà critica e ideologica senza eccezioni. «Acuto, ironico, critico senza essere offensivo, non amante dei luoghi comuni, poco incline al compromesso», lo definisce infatti un’analisi grafologica contenuta in un recente volume dedicato al grande scrittore, sceneggiatore, intellettuale abruzzese, scritto da Massimo Pamio e Monica Ferri. Il saggio si intitola “Chi era Ennio Flaiano?” (edizioni Mondo Nuovo), e porta come sottotitolo: “Analisi dell’uomo e dei suoi segni e disegni”. In effetti il libro si divide in due parti. Nella prima Massimo Pamio, tra i maggiori poeti e critici abruzzesi e non solo, si concentra sul graffiante umorismo di Flaiano. Pamio lo definisce innanzitutto laico, il che equivale non tanto a screditare una sua presunta vocazione spirituale, quanto ad indicare che essa si concretizza al di là delle gabbie istituzionali, siano esse religiose, professionali o sociali. Insomma per Pamio Flaiano emerge soprattutto come uomo libero, capace nel suo acume di cogliere l’aspetto reale delle cose. In questa profondità di veduta lo scrittore, come sottolineato nel libro, avverte tutta la distanza che lo separa dalla vita comunitaria, lui trapiantato a Roma come un alieno proveniente dall’Abruzzo. E il risultato di questo confronto è l’umorismo che utilizza non tanto per schermirsi, quanto «per trasfigurare l’amarezza di una visione distanziante». Nella seconda parte invece, Monica Ferri analizza i segni e i disegni di Flaiano servendosi anche dell’analisi condotta dalla grafologa Francesca Capriotti, la quale conferma le ipotesi di Pamio, dichiarando che in Flaiano la scelta della satira muove dalla esigenza di difendersi da una realtà che forse considerava distante. Una visione più dolce e fanciullesca emerge dai disegni analizzati da Monica Ferri, poetessa a sua volta, insegnante nei licei e appassionata grafologa, la quale in effetti nota la presenza di un archetipo nella necessità che il disegno assume per Flaiano, l’archetipo della donna-madre, quasi a fare da contraltare all’ironia bruciante scagliata dal grande intellettuale contro il suo tempo. Insomma un Flaiano a più dimensioni, capace di rivelare una natura anche nostalgica e sognatrice, che Monica Ferri definisce «la mercuriale malinconia dell’incanto disincantato di Flaiano».