Morena Gentile: «Io, Pupi Avati e l’horror, una sfida esaltante»

Morena Gentile con Pupi Avati

5 Marzo 2025

L’attrice abruzzese interprete nel film “L’orto americano”: «Ho recitato in inglese dopo aver fatto mio il personaggio»

PESCARA. Un film in bianco e nero, ispirato al grande cinema di Alfred Hitchcock, ma anche al neorealismo italiano di Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Pupi Avati torna all’horror raffinato di La casa dalle finestre che ridono, portando sugli schermi L’orto americano, una storia che aveva già raccontato in un libro, edito da Solferino nel 2023. «Un libro che ho divorato nello spazio di un viaggio in aereo», rivela Morena Gentile, l’attrice pescarese – originaria di Cugnoli – che nel film è l’elegantissima Arianna.

Morena, non è la prima volta che lavora con Pupi Avati.

«Infatti, ho avuto la fortuna di lavorare con lui già in Dante. Tra noi c’è un bel rapporto, consolidato negli anni, di reciproco rispetto. Ma Avati fa parte del mio immaginario da quando ero ragazza, ho visto tutti i suoi film, sono stati piccoli tasselli nella mia carriera. È stato fantastico arrivare a lavorare con lui, gli sono molto riconoscente».

Come è entrare nell’universo di questo regista dallo stile così personale?

«Un sogno, è far parte in un certo senso del grande cinema italiano. È una persona molto umana, sa guidarti, condurti per mano anche nelle cose più complesse. Lui riesce a tirarti fuori una parte di te che spesso non sai di avere, lo fa con una maestria e una naturalezza che poi ti fanno crescere».

E sul set?

«Il suo set è una poesia, davvero. È lì che vivi il cinema, quello vero. Abbiamo girato prima a Cinecittà, poi nell’Iowa: recitare in America è un altro sogno realizzato».

“L’orto americano” è un film che ricorda il neorealismo, in bianco e nero, dalla cinematografia molto elegante. Quasi un’opera di altri tempi.

«Come dice Pupi, in Italia si fanno pochi film di genere. A me, invece, i generi piacciono, la cosa mi riporta all’inizio della mia passione per il cinema».

Questo poi è un horror...

«Un horror gotico. Confesso che a me piacciono gli horror, perché hanno la capacità di traghettarti in situazione estreme da cui normalmente fuggiamo. Ti portano oltre. Qui non è tanto diffuso, nonostante grandissimi maestri come Dario Argento. Questo di Pupi è ancora più complesso: è un horror fatto di storie, di personaggi e dei dolori che si portano dietro».

Un genere che può scoraggiare qualche spettatore.

«Lo consiglio anche a chi rifugge il genere: non è il solito splatter, ci sono i sentimenti, le sfumature, c’è l’amore».

Un horror romantico, insomma...

«Un tema caro a Pupi, che ha già raccontato l’innamoramento di Dante per Beatrice. Qui il protagonista vede una sola volta di sfuggita questa donna e ne resta innamorato per sempre».

Chi è Arianna, il tuo personaggio?

«Il mio primo approccio a lei è stato attraverso il libro, che Avati mi ha mandato pregandomi di leggerlo. Ero in viaggio, avevo un volo, e l’ho finito prima di atterrare».

Ma sapevi già che ruolo avresti dovuto interpretare?

«Pupi mi aveva parlato di due sorelle, ma non sapevo quale. Poi sono diventata Arianna, sorella della protagonista Barbara. Un personaggio molto diverso da me. Prima cosa, sono figlia unica ed è stato difficile comprendere i conflitti che si creano tra sorelle. Arianna è un personaggio complesso, ma ricco di sfaccettature, una donna che soffre perché vive all’ombra di una sorella ingombrante che scandisce il tempo per sé e per la sua famiglia, a partire dalla madre, che la preferisce. Arianna è una vittima, anche se non si direbbe, sempre in conflitto con la madre indurita dalla scomparsa di Barbara».

Il film è ambientato nel dopoguerra, ai tempi della Liberazione: come si è trovata a “vivere” quell’epoca?

«Sono riuscita a far mio il personaggio, anche grazie agli abiti creati dalla costumista, Beatrice, fantastici: così mi sono trasformata nel personaggio».

È stato complicato recitare in inglese?

«In realtà no, perché prima di tutto ho voluto impossessarmi di tutte le sfaccettature del personaggio, in italiano. Solo dopo essere “diventata” Arianna, ho imparato la parte in inglese. Ci ho lavorato su e dicono che me la sono cavata abbastanza bene, in maniera fluida. Avevo un monologo molto lungo, e il tutto deve coordinarsi con la posizione rispetto alla macchina da presa, con i movimenti. Alla fine, però, sono entrata nel personaggio in maniera quasi naturale. La lingua cambia poco, è il volto che esprime i sentimenti a contare di più».

Oltre che attrice, lei è anche produttrice: nuovi progetti?

«Come produttrice ho in post produzione un film, un’opera prima, che parteciperà a qualche festival. Come attrice, c’è qualcosa alle porte. Non ne parlo per ora, per scaramanzia!».

Parliamo dell’Abruzzo: da una parte il successo incredibile di un film come “Un mondo a parte”, dall’altra i film tratti dai romanzi di Donatella Di Pietrantonio girati nel Lazio e in Trentino.

«È vero, siamo un po’ indietro. Il sistema va rodato, ma sono ottimista. L’Abruzzo ha tantissimo da offrire, abbiamo la natura, le montagne, il mare. Dobbiamo migliorare alcune cose: ci sono accademie per gli attori, forse mancano le altre figure, le maestranze, gli elettricisti, i costumisti, i macchinisti. Mi piacerebbe anche fare qualcosa, per favorire una maggiore professionalità qui in Abruzzo».

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