L'ABRUZZO E i 100 ANNI DI ALBERTONE
Quando Sordi fu «provocato» dalla chitarra con le pallottine
Il successo internazionale grazie alla sceneggiatura dei Vitelloni di Flaiano. Carla Tiboni: venne a Pescara a ritirare il Premio alla carriera e ne era orgoglioso
La città di Pescara e uno dei suoi figli più illustri attraversano la vita di Alberto Sordi dagli anni felicissimi del cinema italiano dei suoi esordi a quelli della maturità e del piacere della memoria.
Oggi, cento anni fa, in via San Cosimato 7 nel romano rione di Trastevere, nasceva l’attore che più di tutti ha raccontato vizi e virtù degli italiani di sempre. E la prima di quelle caricature perfette gliela cucì addosso Ennio Flaiano: si chiama Alberto come lui, e non a caso, l’infantile “vitellone” tra “I Vitelloni” che Federico Fellini portò in corso d’opera verso il più autobiografico set della sua Rimini, mentre la sceneggiatura del film scritta inizialmente da Flaiano era stata concepita per essere situata a Pescara. Quel film scritto da Fellini, Flaiano e Tullio Pinelli volò verso la candidatura agli Oscar del 1958 dopo essere stato presentato nella selezione ufficiale della 14ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e tanto tempo dopo selezionato tra i 100 film italiani da salvare.
E da quel lavorare con i grandi si impresse nell’anima di Sordi il rispetto assoluto e coltivato nei decenni a seguire, per gli sceneggiatori, un riconoscimento non ovvio nel mondo del cinema. «Sordi aveva per tutte le persone con le quali lavorava un rispetto immenso, educato: dall’elettricista al cineoperatore al regista e via e via. Sapeva lavorare in modo corale, non andava sul set per fare le sue battute e via, restava, studiava, cercava l’accordo, di capire, parlava con lo sceneggiatore, ne aveva grande rispetto, in controtendenza con l’andamento generale va detto, lo considerava – e a ragione – fondamentale per la riuscita del film». Così nel suo primo ricordo a caldo riferisce Carla Tiboni, presidente dei Premi Internazionali Flaiano fondati da suo padre Edoardo nel 1973 «per onorare Ennio Flaiano e riproporre costantemente lo studio della sua opera». Carla era una ragazzina o giù di lì quando ad Alberto Sordi venne assegnato il Flaiano alla Carriera. Era il 1992.
«Gli dissero subito che era alla Carriera e lui rispose subito di sì, nessuno lo ha dovuto “convincere” o pregare», racconta la presidente, «si disse felice e onorato. E si rivelò, almeno a noi, un gentiluomo, disponibile e accomodante. Doti non comuni nel mondo del cinema e per un artista del suo calibro. Ma era una vera anti star». E i successivi incontri a Pescara e a Roma rinsalderanno questa prima impressione. «Al Festival facemmo una piccola retrospettiva dei suoi film e lui si offrì di prestarci le “pizze”, come si chiamavano le pellicole avvolte in bobine», ricorda ancora Carla Tiboni. «Io ero a Roma per lavoro e mio padre mi disse “Passa tu da Alberto a prenderle”. Io chiamai la segretaria che mi disse di andare in uno studio di doppiaggio dove stava lavorando, e qui sempre l’assistente mi chiese di aspettare un attimo perché Sordi mi voleva parlare. Me lo vidi arrivare con quella sua camminata, in doppiopetto gessato, sorridente. È come in tv, ricordo che pensai. “Sei la figlia di Tiboni?” mi disse salutandomi. E poi: “Che macchina hai? Voglio vedere come le trasporti le pizze”. E mi accompagnò per assicurarsi che fossero al sicuro: “Quando arrivi chiama”, mi salutò. Sì perché, scoprii poi nel tempo, lui ci teneva alle cose, aveva cura e attenzione, un approccio delicato anche per le piccole cose».
E a Pescara dove alloggiò? «Al Carlton sulla riviera, ospitavamo lì i premiati. E a cena veniva da noi». Gli piacque la cucina abruzzese? «Moltissimo La chitarra con le pallottine le apprezzò in particolare, volle fare personalmente i complimenti alla cuoca. Era una persona gentile, straordinaria anche dal punto di vista umano, sappiamo ora che aiutava chi aveva bisogno, ma di nascosto, pochissimi lo sapevano quando era in vita, era schivo, frequentava poco i salotti romani. Con mio padre in quelle sere venne fuori per la prima volta l’idea di una Fondazione Sordi. Si capivano sulla bellezza di conservare una memoria viva nel tempo non solo del patrimonio cinematografico ma anche della casa. Lui amava la sua casa che oggi è un museo».
Sordi poi, nel ’95, festeggiò al cinema Circus di Pescara, con un convegno a lui dedicato, mentore Edoardo Tiboni, il suo 75° compleanno. «E volle», ricorda Carla, «soprattutto rivedere la casa di Flaiano a Pescara Vecchia: “Meritava un premio intitolato a lui”, ci disse, “Flaiano è stato uno dei più grandi sceneggiatori, tra i più importanti che abbiamo e il suo nome partendo da qui ha fatto il giro del mondo».
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