Setak e “Assamanù”: «Il mio abruzzese è lingua sentimentale»
Il cantautore pennese fresco di Targa Tenco con il suo album «Un disco su temi legati al tempo, alla memoria, all’identità»
PESCARA. «“Assamanù” rappresenta la naturale evoluzione del mio percorso artistico e personale. È una raccolta di brani che approfondiscono temi legati al tempo, alla memoria e all’identità. La traccia che dà il titolo al disco risponde in modo definitivo alla domanda ricorrente su perché continuo a cantare in dialetto, affermando che questa è la mia natura, il mio modo di essere. È un atto liberatorio in un mondo che ci spinge all’omologazione» È fresco di vittoria alle Targhe Tenco, Setak. Il cantautore e chitarrista di Penne, al secolo Nicola Pomponi, ha avuto la meglio, nella categoria Miglior disco in dialetto, su Davide Van De Sfroos, Eleonora Bordonaro, Massimo Silverio e Mesudì. “Assamanù” «prosegue la sintesi dei linguaggi iniziata con “Blusanza” e continuata con “Alestalè”».
Un progetto esportabile, il suo, in cui è la musica a trascinare il dialetto. Com’è nata l'idea?
A un certo punto della mia vita, ho avuto la necessità di cercare il mio stile. In Italia, a parte rarissimi casi, non ci siamo mai sforzati di sviluppare un nostro linguaggio, abbiamo sempre più o meno copiato ciò che veniva da fuori, soprattutto nel pop. Questa condizione cominciava a farmi stare male, tant’è che mi ha portato a un periodo difficilissimo in cui smisi di suonare. Ero a Londra e, appena tornato, con il mio produttore Fabrizio Cesare, ci siamo detti: “Perché non facciamo una cosa che ci piace? Una cosa di cui saremo felici, fieri e orgogliosi in futuro. Indipendentemente da come andrà, senza badare a nessuna moda del momento”. Da qui l’idea di una sintesi musicale che fosse totalmente personale, fatta di musica proveniente da tutto il mondo, veicolata dalle mie radici, dal mio dialetto che è una lingua assolutamente minoritaria e all’epoca, tra i dialetti, uno dei meno sdoganati in assoluto. Della nostra lingua non mi interessa l’aspetto folkloristico o ironico, ma l’aspetto sentimentale. La mia sfida è stata quella di trattare il dialetto abruzzese come una qualsiasi lingua internazionale, inclusiva e lontana dall’atteggiamento ristretto del “nu sem nu”.
Vincitore della Targa Tenco per il miglior album in dialetto, dopo essere stato tra i finalisti con i precedenti lavori. Cosa significa per lei questo riconoscimento?
Sapevo che con questo progetto avrei fatto un tuffo nel vuoto e nel buio più totale. Non avevo modelli a cui rifarmi e sono stato continuamente di fronte a un foglio bianco. Tracciare un percorso da solo è sicuramente esaltante, ma ha tanti svantaggi. Non nascondo che avrei voluto avere qualche “reference” che mi aiutasse nei momenti bui, qualche indicazione da qualcuno. Senza essere retorici, quando arrivano riconoscimenti di questo tipo hanno un valore triplo. È la conferma del fatto che il messaggio è passato, il dialetto è stato percepito non come una realtà territoriale ma come un linguaggio universale. Il fatto di constatare che qualcosa in cui credevi solo tu viene condivisa da molte altre persone è una sensazione molto forte e vedere il dialetto abruzzese ricevere l’attenzione che normalmente si riserva ad altri molto più noti e in voga mi ha dato una gioia infinita.
Come nasce la collaborazione con Cristicchi?
Ho sempre stimato Simone Cristicchi e posso dire che la persona corrisponde all’artista. Lo conobbi anni fa durante un festival in Sardegna, gli regalai il mio primo disco “Blusanza”. Passammo una bellissima serata nel backstage a bere mirto e chiacchierare. Ci siamo rivisti a dicembre 2023 – andai a vedere il suo spettacolo su San Francesco –, e ho pensato fosse la persona giusta per cantare “Figli della storia” con me, era solo un desiderio. Non avevo pianificato collaborazioni per questo album, perché è un lavoro troppo personale e non mi interessano feat. casuali. Poco prima di chiudere il disco, mi raccontò di quanto gli fosse piaciuto “Blusanza” e mi disse che era curioso di sentire i nuovi brani su cui stavo lavorando. Gli mandai “Figli della storia”, pensando fosse il brano giusto per lui. Accettò con entusiasmo, contribuendo anche alla scrittura del testo con una parte che si inserisce perfettamente nello spirito del brano.