Veronesi: sono ospite smarrito in questo secolo pieno di rabbia così ho scritto del passato
Il due volte premio Strega apre il Fla di Pescara con il romanzo “Settembre nero” «Pensavo che il Medioevo fosse alle spalle, ma sento di esserci precipitato dentro»
PESCARA. Un salto indietro di oltre cinquant’anni. Un tuffo nel passato rivendicato con orgoglio. Per mettere una distanza netta tra il tempo in cui si scrive, carico di rabbia e risentimenti, e un passato a metà tra il vissuto e l’immaginato, scandito dall’amore adolescenziale tra il protagonista dodicenne Gigio Bellandi e la ragazza dalle mille treccine nere, Astel Rimoldi, posizionati da Sandro Veronesi l’uno accanto all’altro davanti al mare della Versilia. “Settembre nero” è il primo romanzo del due volte vincitore dello Strega scrittore fiorentino a non essere ambientato nel presente.
Un romanzo «storico», come lo definisce l’autore, che oggi sarà all’Auditorium Petruzzi di Pescara (ore 19), intervistato da Alessio Romano, nell’ambito del Fla – Festival di Libri e Altrecose, per raccontare il volume da poco uscito per La nave di Teseo. Ma anche un romanzo di formazione che ricostruisce la storia travolgente del primo amore e di un mondo che improvvisamente inizia a sgretolarsi, in parallelo con i tragici fatti di sangue che segnarono le Olimpiadi di Monaco del 1972.
Veronesi torna a Pescara dopo la presentazione del volume “Il Colibrì”, uscito nel 2019. Partiamo da qui. Cosa è successo in questi cinque anni?
A me è successo del bene, a noi del male. “Il Colibrì” dopo l’autunno partecipò al Premio Strega, arrivò in finale e addirittura vinse. Ma subito dopo ci furono anni orribili, drammatici, passarci attraverso è stata dura. Oggi non c’è alcun sollievo, le persone ne sono uscite male. Vedo un’umanità più rabbiosa, violenta anche verbalmente. Gli scandali ci sono sempre stati, ma le persone non si menavano e gli infermieri non venivano picchiati per un ricovero. Quegli anni di chiusure per Covid hanno prodotto una rabbia che è stata canalizzata, sfruttata e anche molto manipolata. Una brutta deriva che dura tuttora.
Si riferisce all’instabilità geopolitica?
Non mi spiego diversamente certi orientamenti maggioritari, come quello che è venuto fuori stanotte (ieri per chi legge). Non è tanto l’esito in sé delle elezioni americane, del quale mi importa fino a un certo punto. È la rabbia che mi stupisce e che non mi va di raccontare, un mondo nel quale le persone in lutto per un’alluvione prendono a palate di fango il loro re. Io non sono monarchico e sono anche abbastanza anarchico, però se un re che non è responsabile del dissesto idrogeologico va a trovare le popolazioni, non può essere preso a palate di fango. Se succede vuol dire che non esiste più il patto sociale, l’idea di convivenza e di comunità. Pensavo che il Medioevo fosse alle spalle da differenti secoli, invece ho l’impressione di esserci precipitato dentro.
Per questo ha ambientato il libro nel passato?
Non mi interessa raccontare questo tempo, già faccio fatica a viverlo. Preferisco distaccarmi di 50 anni e scrivere un romanzo storico. Improvvisamente, mi sento quello che sono: un uomo del Novecento, un ospite un po’ smarrito in questo nuovo secolo. E già che mi tocca viverlo, mi rifiuto di viverlo due volte, passando anni a scrivere un romanzo ambientato in questo tempo, con questa gente, con delle mutazioni antropologiche che non capisco.
Cosa le piace raccontare?
Un tema che è completamente sparito dalla nostra comunità: l’accettazione. Non sono un sociologo né un climatologo, ma c’è ancora gente che non accetta l’idea dei vaccini e non crede al cambiamento climatico, sono ancora lì e vincono le elezioni. Racconto come trovare vie di uscita, anche per accettare l’inaccettabile e andare oltre.
Torniamo alla storia e alle vacanze in Versilia. Che ricordi ha di quelle estati?
Diffido molto della memoria personale, lo dice anche il protagonista del libro, perché noi manipoliamo i nostri ricordi, specie quando li dobbiamo oggettivare in un racconto destinato ad altri. Ho effettivamente vissuto quell’estate del 1972 in Versilia, ma al di là di colori, umori ed emozioni ho preferito fare ricerche sul contesto. Ho scoperto, anche attraverso i filmini di famiglia, che quella spiaggia che ricordavo affollatissima in realtà non lo era affatto.
Dell’attentato al villaggio olimpico cosa le è rimasto?
Una specie di sorpresa funesta che ha interrotto un evento collettivo tanto atteso come le Olimpiadi. Non me lo portai dietro come una cicatrice, perché per fortuna non mi successe nulla di personale.
Dunque come le è venuta l’idea di incentrare il romanzo sul “settembre nero”?
Il romanzo mi è saltato addosso mentre lavoravo ad altro, durante un viaggio in macchina. Alla radio ho sentito della commemorazione per i 50 anni dell’attentato e tre ore dopo, alla fine del viaggio, avevo già in testa tutta la storia. Non mi era mai capitata una cosa del genere. A un certo punto mi sono anche chiesto: non sarà che l’ha già scritto un altro e, senza saperlo, sto copiando?
L’altro libro lo ha terminato?
No, lo riprenderò più avanti. La scrittura non è mai un’immersione: un po’ scrivo, un po’ faccio altro e lascio sempre la mia porta aperta. Sono immerso nel mondo normale, in quello di figli, insegnanti e genitori, negli uffici e negli ospedali. Ecco perché sono stato così colpito dai cambiamenti degli ultimi tempi: è proprio perché ho vissuto questo mondo che non ho avuto voglia di scriverne.
Che tipo di genitore è: permissivo o autoritario?
Ho 5 figli e cerco di fare meno danni possibili. Tendo a non imporre il mio punto di vista e i miei valori, perché quello che deve fare un genitore è lasciare meno segni possibili addosso ai figli. Posso dare dei consigli, ma in genere mi sforzo finché siano loro a maturare le proprie decisioni in autonomia. Poi se c'è bisogno ci sono, li aiuto e ci parlo. Non so se questo è essere permissivi, però non sono neanche troppo normativo.