E il sindaco di Farindola denuncia l’Ente
I difensori: «Disastro valanghivo doloso, abbiamo le prove». Ma si rivolgono alla Procura dell’Aquila
PESCARA. La rottura con la Procura pescarese adesso è ufficiale. Dopo l’annuncio di abbandonare la piena collaborazione delle indagini, gli avvocati del sindaco e del tecnico comunale di Farindola, tra i sei indagati per le 29 vittime di Rigopiano, si rivolgono altrove. E presentano alla Procura dell’Aquila la denuncia per disastro valanghivo doloso (e non colposo come ipotizza la Procura pescarese) nei confronti della Regione. Riparte da questa accusa pesante l’offensiva degli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri, che assistono Ilario Lacchetta, Enrico Colangeli e il Comune di Farindola.
Un’accusa formulata sulla base «di elementi di prova» già contenuti nella memoria difensiva depositata alla Procura pescarese. Ma, secondo i legali, mai presa in considerazione. Motivo per cui, quello stesso dossier, arricchito di ulteriori prove, è diventato il sostegno della denuncia presentata lo scorso 12 maggio all’Aquila.
Dati scientifici esclusivi, come i carotaggi sulla neve compiuti sul fronte della valanga quattro cinque giorni dopo la tragedia, dalla guida alpina Maurizio Felici che ha fornito una dettagliata informazione del percorso valanghivo e dell'area di distacco della valanga che distrusse l'hotel Rigopiano.
E ancora, documenti raccolti all’ufficio della protezione civile e sottoposti poi alla disamina di esperti come l’ingegner Marco Cordeschi, esperto di ingegneria della montagna, che dalle foto prelevate ha evidenziato che in data anteriore a quella della valanga apparivano chiare e percettibili tracce di una valanga antecedente, mai censita sulla carta storica della Regione. Senza contare l’apporto centrale della relazione a firma dell’ingegner Giorgio Morelli, ex resposabile del Meteomont Abruzzo; del climatologo e nivologo Massimiliano Fazzini in relazione alle precipitazioni di quei giorni e in quelle zone.
Tutto materiale che alla fine, secondo quanto sostengono i legali, portano a una sola conclusione: la valanga poteva essere prevista.
Bastava dotarsi dello strumento che imponeva la legge regionale 47 del 1992: la carta di localizzazione dei pericoli da valanga. Secondo i legali, non sarebbe stato possibile stabilire il giorno, ma poteva essere stabilito che la zona fosse a rischio. Ma, come ribadiscono sin dall’inizio, «la commissione valanghe comunale e il Coreneva (Commissione regionale neve-valanghe) non avevano alcuna possibilità di funzionare in assenza della mappatura Clpv sulla zona valanghifera di Rigopiano».
È su questi temi che questa mattina gli stessi legali, sostenuti dagli esperti, torneranno a illustrare «le motivazioni e gli elementi di prova che sostengono la denuncia» nei confronti della Regione. E, tra le righe, anche il loro atto d’accusa alla procura pescarese. Rimasta sorda, come avevano già evidenziato in un comunicato diramato una quindicina di giorni fa, «di fronte alle ulteriori attività di accertamento delle reali responsabilità del disastro».
(s.d.l.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Un’accusa formulata sulla base «di elementi di prova» già contenuti nella memoria difensiva depositata alla Procura pescarese. Ma, secondo i legali, mai presa in considerazione. Motivo per cui, quello stesso dossier, arricchito di ulteriori prove, è diventato il sostegno della denuncia presentata lo scorso 12 maggio all’Aquila.
Dati scientifici esclusivi, come i carotaggi sulla neve compiuti sul fronte della valanga quattro cinque giorni dopo la tragedia, dalla guida alpina Maurizio Felici che ha fornito una dettagliata informazione del percorso valanghivo e dell'area di distacco della valanga che distrusse l'hotel Rigopiano.
E ancora, documenti raccolti all’ufficio della protezione civile e sottoposti poi alla disamina di esperti come l’ingegner Marco Cordeschi, esperto di ingegneria della montagna, che dalle foto prelevate ha evidenziato che in data anteriore a quella della valanga apparivano chiare e percettibili tracce di una valanga antecedente, mai censita sulla carta storica della Regione. Senza contare l’apporto centrale della relazione a firma dell’ingegner Giorgio Morelli, ex resposabile del Meteomont Abruzzo; del climatologo e nivologo Massimiliano Fazzini in relazione alle precipitazioni di quei giorni e in quelle zone.
Tutto materiale che alla fine, secondo quanto sostengono i legali, portano a una sola conclusione: la valanga poteva essere prevista.
Bastava dotarsi dello strumento che imponeva la legge regionale 47 del 1992: la carta di localizzazione dei pericoli da valanga. Secondo i legali, non sarebbe stato possibile stabilire il giorno, ma poteva essere stabilito che la zona fosse a rischio. Ma, come ribadiscono sin dall’inizio, «la commissione valanghe comunale e il Coreneva (Commissione regionale neve-valanghe) non avevano alcuna possibilità di funzionare in assenza della mappatura Clpv sulla zona valanghifera di Rigopiano».
È su questi temi che questa mattina gli stessi legali, sostenuti dagli esperti, torneranno a illustrare «le motivazioni e gli elementi di prova che sostengono la denuncia» nei confronti della Regione. E, tra le righe, anche il loro atto d’accusa alla procura pescarese. Rimasta sorda, come avevano già evidenziato in un comunicato diramato una quindicina di giorni fa, «di fronte alle ulteriori attività di accertamento delle reali responsabilità del disastro».
(s.d.l.)
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