Arde il fuoco della Perdonanza

Acceso il tripode. Il vescovo: per me forse è l’ultima volta. Il sindaco : dobbiamo riconciliarci

L’AQUILA. Per l’arcivescovo Giuseppe Molinari un giorno malinconico «questa è forse la mia ultima Perdonanza» (da vescovo dell’Aquila, si intende, visto che a gennaio 2013 potrebbe lasciare per raggiunti limiti di età la diocesi).

Per il sindaco Cialente «da questo giorno parte la riscossa dopo il dolore e le incertezze degli anni scorsi», per l’assessore regionale Gianfranco Giuliante «un momento per ritrovare quell’orgoglio di città che ci viene dal passato», dal presidente della Provincia Antonio Del Corvo un invito a non mollare.

Per i rappresentanti della città (le cosiddette autorità civili e religiose) la cerimonia dell’accensione del tripode in piazza Palazzo è stata l’occasione per fare un po’ di retorica buona per tutte le stagioni ma anche, in fondo, per esprimere dei sentimenti. E i cittadini? Come al solito relegati dietro le transenne, in piedi, a marcare la distanza con un “potere” da cui ci si aspetta fatti e non parole. Eppure ieri sera percorrendo il Corso e il tratto che porta a piazza Palazzo si è vista una città quasi normale, come se in fondo in fondo, dopo tre anni e mezzo, a quelle gabbie che impediscono ai palazzi di crollare ormai ci si sia fatta l’abitudine. Si discute fra amici e familiari come ai vecchi, bei tempi. Una puntatina al gelataio, un pizza al pomodoro consumata in mezzo alla strada, un aperitivo gustato fuori dai bar che hanno riaperto. Di terremoto si parla poco tanto che quando l’arcivescovo nel suo discorso ha praticamente detto che «troppe chiacchiere si fanno ormai sul terremoto» è partito anche un timido applauso. Ma a ricordare a tutti che siamo ancora in mezzo a una città duramente ferita basta alzare un po’ lo sguardo. Alle finestre dei palazzi non c’è nessuno “affacciato” a curiosare. In molti casi non ci sono più nemmeno le finestre. La Torre del palazzo è lì, quasi spettrale, anche se, come ha detto il sindaco «quest’anno abbiamo riappeso i simboli dei quattro Quarti e le insegne del Comune». Alla fine della cerimonia mentre metà del pubblico tornava verso i Portici, l’altra metà era col naso in su ad aspettare i fuochi di artificio. Nessuno ha ancora spiegato loro che “sparare” dalla Torre lesionata è una pura follia. Eppure quei fuochi che, come la fiaccola del Morrone, illuminavano la notte, mancano. E c’è chi non si rassegna facilmente. La serata è andava avanti senza strappi. Il concerto diretto dal maestro Carmine Gaudieri ha raccolto applausi. Poi l’attesa della fiaccola, una attesa ingannata dai discorsi di Giuliante, Del Corvo, Molinari, Cialente.

La “regìa” della serata è stata affidata a Luana Masciovecchio che alla fine non sapeva più dove andare a cercare parole di circostanza per “coprire” i tempi morti.

Poi la fiaccola è comparsa annunciata dai tamburi e portata da Gianni Giorgi e Riccardo Calvisi. Il presidente del Movimento celestiniano Floro Panti ha letto il contenuto della pergamena fatta firmare ai sindaci e ai parroci incontrati lungo il percorso dal monte Morrone all’Aquila. E poi, alle 21,45, finalmente la fiaccola è passata nelle mani del sindaco che ha dichiarato aperta la 718esima Perdonanza celestiniana.

Il primo cittadino poco prima aveva parlato a braccio. Non ha letto il discorso che l’ufficio stampa del Comune aveva diffuso nel pomeriggio anche se i temi sono stati molto simili: «Riconciliazione. Questa è la parola chiave» aveva scritto il sindaco «da qui, dal messaggio di Celestino, dobbiamo partire per ritrovarci come singoli e come comunità, per trovare il coraggio, la fede, la speranza per andare avanti, ma anche la determinazione e la spinta per ricominciare. Tre anni fa, nell'edizione 2009 della manifestazione, ricordo le lacrime che rigavano il mio volto, mentre sfilavo nello scarno corteo che quell'anno attraversò il centro storico ferito e devastato dal sisma, e quelle che vidi sui visi dei miei concittadini, mentre pensavo a quanti, quell'anno, non c'erano più. Non sapevamo, allora, cosa ci aspettava, nessuno era in grado di guardare avanti. Oggi siamo qui. A vedere una città ancora ferita che prova a ripartire, fieri del fatto di essere restati, esempio per il Paese intero per la dignità e la forza che questo popolo dignitoso e fiero ha dimostrato nel momento della tragedia e del dolore. Anche questa è riconciliazione. Quella con il nostro destino, con il nostro lutto, con quel senso di rabbia e di impotenza che ha pervaso tutti da quella notte maledetta».

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