Dalla guerra fredda al mondo globale
Il discorso del Presidente della Repubblica
Signori Presidenti, Signori Primi Ministri, Signore e Signori partecipanti alle iniziative del G8, porgo a voi tutti il più cordiale saluto della nazione che rappresento nella sua unità, come vuole la nostra Costituzione.
Il senso dell’ospitalità e lo spirito di amicizia che circondano questi incontri sono espressione del sentimento comune degli italiani, a nome dei quali desidero ringraziarvi ancora per il gesto che avete voluto compiere accettando la proposta del Presidente Berlusconi di tenere il G8 qui a L’Aquila: un gesto di grande sensibilità e solidarietà verso le popolazioni colpite dal terremoto in una città e in una regione a noi molto care.
E il vivo interesse con cui gli italiani guardano, senza provincialismi, con larghezza di vedute, a questa straordinaria assise internazionale, riflette la storia del nostro popolo, che nel corso dei secoli si è più di altri mescolato col resto del mondo, si è caratterizzato per il cosmopolitismo dei suoi intellettuali, artisti, scienziati, e ha lasciato attraverso molti milioni di emigranti tracce durature in tanti paesi dell’Europa e delle Americhe.
Noi sentiamo che oggi siamo chiamati a fronteggiare insieme un momento di gravi difficoltà per le nostre economie e le nostre società e a cogliere una decisiva occasione di cambiamento nella visione e nel governo del mondo.
Il mese scorso, dinanzi ai capi di Stato e di governo degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e del Canada, si è solennemente celebrato il 65º anniversario dello storico sbarco delle forze alleate in Normandia: un’operazione che aprì la via alla vittoria finale sul nazifascismo. Quella che in breve tempo si sarebbe quindi conclusa era stata una guerra che non aveva conosciuto confini, che aveva abbracciato tutti i continenti. Gli spiriti più lungimiranti ne trassero già allora la visione di un mondo che era divenuto uno solo, la necessità di pensare il futuro in termini mondiali. Ma lo scenario cambiò ben presto con l’avvento della guerra fredda, con la divisione del mondo in blocchi contrapposti: si sfidarono l’Est e l’Ovest, e accanto ad essi prese una sua fisionomia il Terzo Mondo. Avrebbero dovuto passare dei decenni perché si riconoscesse da tutte le parti la crescente interdipendenza che ormai legava le più diverse realtà in un mondo che appariva di nuovo «uno solo». Lo si sarebbe infine chiamato un mondo «globale».
La crisi finanziaria ed economica che da un anno stiamo vivendo costituisce la prova inconfutabile che è con un mondo globale che dobbiamo fare i conti, che è un mondo globale quello che si deve governare. Nessun paese e nessun continente può fare da solo. Nessun direttorio di 7 o di 8 potenze economiche e Stati può assicurare lo sviluppo mondiale, la salvezza e il futuro del mondo. Sono entrati in scena nuovi grandi protagonisti e il loro ruolo va pienamente riconosciuto; e si deve dare voce ai paesi che sono rimasti più indietro sulla via dello sviluppo, ai popoli più sfortunati di cui tanta parte vive penosamente nella povertà e nella fame. Prendiamo allora ispirazione dalle intuizioni e dalle scelte più lungimiranti che emersero alla vigilia o all’indomani della conclusione della seconda guerra mondiale, quando nacquero l’organizzazione delle Nazioni Unite e ancor prima le istituzioni di Bretton Woods. Da allora molto si è costruito, ma non poco, purtroppo, si è negli ultimi tempi venuto perdendo; come ci dice la crisi attuale, si sono smarrite regole di comportamento, si sono oscurate grandi responsabilità comuni, sono cresciuti elementi di disordine e di ingiustizia che hanno finito per esplodere provocando danni pesanti alle economie e alle popolazioni nelle loro parti più deboli.
C’è dunque da porre riparo alla crisi attuale, da rimuoverne le cause e da evitare che possa ripetersi; tra l’altro, adottando un complesso di più esigenti regole e standard internazionali per la conduzione delle attività finanziarie ed economiche. E ciò è importante anche in rapporto all’obbiettivo supremo del consolidamento della pace globale. Peraltro, la ripresa e lo sviluppo delle nostre economie implicano una risposta anche a nuove e sempre più pressanti sfide, a cominciare dalla salvaguardia dell’ambiente di fronte ai rischi del cambiamento climatico. La strada maestra è quella non solo di intese immediate e parziali, ma della riforma e del rafforzamento delle istituzioni internazionali, e del sostegno ai processi di integrazione e cooperazione su scala continentale e regionale. E’ in questo spazio che l’Europa unita potrà svolgere il suo nuovo ruolo, nel quale fortemente crediamo.
Un grande protagonista della Conferenza di Bretton Woods, John Maynard Keynes, disse in occasione della sessione finale parole di omaggio al risultato raggiunto grazie al concorso di 44 nazioni che avevano lavorato insieme in unità e persistente concordia, e concluse: «Se sapremo continuare in imprese più ampie come abbiamo cominciato in questa più limitata, c’è speranza per il mondo». Signore e signori, ecco la speranza che bisogna far rivivere e che già guida, ne sono certo, i vostri incontri di questi giorni. La posta in gioco è molto alta, la prova è molto ardua. Ma nella riconciliazione tra le civiltà che si sono incontrate e scontrate nella storia, nella cooperazione tra le civiltà che voi rappresentate in tutta la loro ricchezza e diversità, possono trovarsi le risorse necessarie per assicurare il futuro della convivenza umana, la pace e la giustizia tra le nazioni. Questo è il messaggio di augurio e di fiducia che vi rivolgo a nome dell’Italia.
Il senso dell’ospitalità e lo spirito di amicizia che circondano questi incontri sono espressione del sentimento comune degli italiani, a nome dei quali desidero ringraziarvi ancora per il gesto che avete voluto compiere accettando la proposta del Presidente Berlusconi di tenere il G8 qui a L’Aquila: un gesto di grande sensibilità e solidarietà verso le popolazioni colpite dal terremoto in una città e in una regione a noi molto care.
E il vivo interesse con cui gli italiani guardano, senza provincialismi, con larghezza di vedute, a questa straordinaria assise internazionale, riflette la storia del nostro popolo, che nel corso dei secoli si è più di altri mescolato col resto del mondo, si è caratterizzato per il cosmopolitismo dei suoi intellettuali, artisti, scienziati, e ha lasciato attraverso molti milioni di emigranti tracce durature in tanti paesi dell’Europa e delle Americhe.
Noi sentiamo che oggi siamo chiamati a fronteggiare insieme un momento di gravi difficoltà per le nostre economie e le nostre società e a cogliere una decisiva occasione di cambiamento nella visione e nel governo del mondo.
Il mese scorso, dinanzi ai capi di Stato e di governo degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e del Canada, si è solennemente celebrato il 65º anniversario dello storico sbarco delle forze alleate in Normandia: un’operazione che aprì la via alla vittoria finale sul nazifascismo. Quella che in breve tempo si sarebbe quindi conclusa era stata una guerra che non aveva conosciuto confini, che aveva abbracciato tutti i continenti. Gli spiriti più lungimiranti ne trassero già allora la visione di un mondo che era divenuto uno solo, la necessità di pensare il futuro in termini mondiali. Ma lo scenario cambiò ben presto con l’avvento della guerra fredda, con la divisione del mondo in blocchi contrapposti: si sfidarono l’Est e l’Ovest, e accanto ad essi prese una sua fisionomia il Terzo Mondo. Avrebbero dovuto passare dei decenni perché si riconoscesse da tutte le parti la crescente interdipendenza che ormai legava le più diverse realtà in un mondo che appariva di nuovo «uno solo». Lo si sarebbe infine chiamato un mondo «globale».
La crisi finanziaria ed economica che da un anno stiamo vivendo costituisce la prova inconfutabile che è con un mondo globale che dobbiamo fare i conti, che è un mondo globale quello che si deve governare. Nessun paese e nessun continente può fare da solo. Nessun direttorio di 7 o di 8 potenze economiche e Stati può assicurare lo sviluppo mondiale, la salvezza e il futuro del mondo. Sono entrati in scena nuovi grandi protagonisti e il loro ruolo va pienamente riconosciuto; e si deve dare voce ai paesi che sono rimasti più indietro sulla via dello sviluppo, ai popoli più sfortunati di cui tanta parte vive penosamente nella povertà e nella fame. Prendiamo allora ispirazione dalle intuizioni e dalle scelte più lungimiranti che emersero alla vigilia o all’indomani della conclusione della seconda guerra mondiale, quando nacquero l’organizzazione delle Nazioni Unite e ancor prima le istituzioni di Bretton Woods. Da allora molto si è costruito, ma non poco, purtroppo, si è negli ultimi tempi venuto perdendo; come ci dice la crisi attuale, si sono smarrite regole di comportamento, si sono oscurate grandi responsabilità comuni, sono cresciuti elementi di disordine e di ingiustizia che hanno finito per esplodere provocando danni pesanti alle economie e alle popolazioni nelle loro parti più deboli.
C’è dunque da porre riparo alla crisi attuale, da rimuoverne le cause e da evitare che possa ripetersi; tra l’altro, adottando un complesso di più esigenti regole e standard internazionali per la conduzione delle attività finanziarie ed economiche. E ciò è importante anche in rapporto all’obbiettivo supremo del consolidamento della pace globale. Peraltro, la ripresa e lo sviluppo delle nostre economie implicano una risposta anche a nuove e sempre più pressanti sfide, a cominciare dalla salvaguardia dell’ambiente di fronte ai rischi del cambiamento climatico. La strada maestra è quella non solo di intese immediate e parziali, ma della riforma e del rafforzamento delle istituzioni internazionali, e del sostegno ai processi di integrazione e cooperazione su scala continentale e regionale. E’ in questo spazio che l’Europa unita potrà svolgere il suo nuovo ruolo, nel quale fortemente crediamo.
Un grande protagonista della Conferenza di Bretton Woods, John Maynard Keynes, disse in occasione della sessione finale parole di omaggio al risultato raggiunto grazie al concorso di 44 nazioni che avevano lavorato insieme in unità e persistente concordia, e concluse: «Se sapremo continuare in imprese più ampie come abbiamo cominciato in questa più limitata, c’è speranza per il mondo». Signore e signori, ecco la speranza che bisogna far rivivere e che già guida, ne sono certo, i vostri incontri di questi giorni. La posta in gioco è molto alta, la prova è molto ardua. Ma nella riconciliazione tra le civiltà che si sono incontrate e scontrate nella storia, nella cooperazione tra le civiltà che voi rappresentate in tutta la loro ricchezza e diversità, possono trovarsi le risorse necessarie per assicurare il futuro della convivenza umana, la pace e la giustizia tra le nazioni. Questo è il messaggio di augurio e di fiducia che vi rivolgo a nome dell’Italia.