Don Josè: «Dopo gli insulti mi cacciano»
Il sacerdote africano offeso in piazza con espressioni di discriminazione razziale: «La Chiesa non mi rende giustizia»
L’AQUILA. «Mi cacciano. Non sono venuti, i vescovi, a difendermi di fronte al popolo che mi hanno affidato. Non sono saliti con me sull’altare per dire a tutti: altro che sporco negro, lui è il vostro pastore, è un ministro di Dio. Avrei voluto una Chiesa che mi rendesse giustizia ma non la vedo». Chissà se a don Josè Obama Abuy – il parroco della Guinea equatoriale insultato e discriminato in piazza ad Assergi, davanti a testimoni, per il colore della pelle, con un vergognoso riferimento alle vittime di Lampedusa – fanno più male quelle folli parole oppure le decisioni annunciate dai superiori (i quali, tra l’altro, attribuiscono a lui la scelta di cambiare aria). «Don Josè tornerà in Africa». Il giorno dopo essersi liberato dal peso che lo opprime, raccontando al Centro una storia che ripeterà, a breve, davanti ai carabinieri, per l’avvio di un’indagine per ingiuria aggravata dai motivi razziali, il parroco mostra una sofferenza interiore che non riesce a nascondere in nessun modo.
LA SOLITUDINE. Eccola, allora, la solitudine del prete. Mentre apre il cancelletto di casa sua, in un pomeriggio di sole autunnale, il parroco che ha reagito al suo offensore, tanto che adesso se ne vergogna e non celebra più la messa in pubblico, butta uno sguardo sulla Bianchi verde appoggiata alle mura pericolanti di una casa inagibile dove è rimasto a vivere prima e dopo il terremoto. «Questa qui l’ho usata poco: troppe salite». Già, come quella lungo la quale si è ritrovato a camminare. «Da solo». Dentro, una luce fioca illumina una stanza con tanti libri. «C’è poca luce», spiega, «perché ho avuto l’abbassamento della potenza a causa di consumi astronomici che altri hanno fatto al posto mio. Neppure su questo è stata detta una parola chiara. Nessuno è intervenuto per sistemare le cose. Quando ho chiesto spiegazioni mi hanno chiamato sporco negro. Non ho potuto non reagire», racconta. «Me ne rammarico, sicuramente un cattivo esempio, ma non nascondo la mia ennesima delusione, ancora una volta dovermi difendere da solo, ancora una volta non venivo ascoltato. Ancora una volta ero io lo straniero, colui che non può, che non deve. Il colore della mia pelle, l’assenza di una Chiesa che mi rendesse giustizia, che mi rispettasse, hanno fatto il resto».
SOLA ANDATA. Don Josè sa che il suo destino è segnato: vivrà lontano da Assergi. Ma non si rassegna. «Ma in Africa come posso portare via tutti i libri e le altre poche cose che mi appartengono? Impossibile portarle in aereo». L’unico balsamo sulle ferite, per lui, sono le telefonate ricevute «da tanta gente dell’Aquila, meno che dai preti aquilani. Alcuni sacerdoti mi hanno chiamato da Sulmona e da Tagliacozzo. Ho ricevuto una ventina di telefonate. Da Assergi poca gente. A casa mia non ha bussato nessuno. So che tanti, nel segreto, sono con me e contro queste offese assurde. Ma hanno paura. Del resto, adesso che sanno che andrò via, mentre chi mi ha offeso resta, chi se la sente di schierarsi con me?». Poi scende a celebrare messa con tre fedeli, in memoria di un defunto, nella stanzetta riscaldata accanto alla chiesa più grande dove dal giorno della lite in piazza non entra più.
IL CONSIGLIERE STRANIERO. A sostegno del parroco di Assergi arriva il consigliere straniero al Comune Gamal Bouchaib. «Sono vergognose», scrive, «le offese a sfondo razzista nei confronti della persona prima e del parroco poi, don Josè che ha testimoniato sulla propria pelle l’ignoranza di qualche imbecille ma è anche incomprensibile l’atteggiamento silenzioso della Curia nei confronti di parroci di origine straniera (quello di don Josè, infatti, è il secondo caso dopo quello di don Gerald a Barano di Tornimparte) che sono stati soggetti di offese a sfondo razziale. Mi chiedo se questo atteggiamento sarebbe stato lo stesso se si fosse trattato di parroci italiani», commenta il consigliere straniero. «Chiedo alla Curia che si esprima prendendo le difese di chi è stato aggredito perché il razzismo non è un’opinione ma un reato punibile dalla legge italiana, la Corte europea e le convenzioni internazionali ma altrettanto farò chiedendo al consiglio comunale non più la solidarietà al parroco don Josè ma di impegnare la giunta a finanziare una campagna contro il razzismo in città. Bisogna agire presto, allora, prima che sia troppo tardi».
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