Ecco l’ospedale fantasma
Lo scandalo del San Salvatore, viaggio nei reparti abbandonati. Un gigante d’argilla con apparecchiature accese coperte da calcinacci
L’AQUILA. Quando si entra nel Pronto soccorso c’è ancora una lunga scia di sangue sul pavimento da evitare. Le flebo sono appese ai ganci, barelle e lenzuola sporche sono buttate da una parte, luci e monitor sono accesi. Ma intorno non c’è nessuno. Non c’è nessuno da 48 ore perché il “nuovo” San Salvatore, costato miliardi e atteso trent’anni dagli aquilani, è un ospedale fantasma.
GUARDA L'ospedale fantasma
Nel momento dell’emergenza, la struttura che doveva servire di più, è vuota, abbandonata, lesionata da crepe, circondata da calcinacci e con i pilastri in cemento armato che si sono piegati.
Progettato negli anni Settanta, inaugurato nel Duemila, il San Salvatore è il “gigante con i piedi d’argilla” che si è arreso alla scossa delle 3,32 di lunedì mattina. Ed è diventato lo “scandalo del terremoto”.
Eppure qui fino a martedì, medici e infermieri hanno continuato a medicare, operare, aiutare, contribuito ad alimentare qualche speranza. E hanno visto i primi morti schiacciati dalle macerie, mentre le sale chirurgiche perdevano pezzi, dal soffitto cadevano lamiere e i mattoni si erano già spostati dalle pareti. Poi è arrivato l’ordine di sgombero, il San Salvatore è diventato troppo pericoloso per tutti, e sale e laboratori si sono trasformati in una sorta di museo della sofferenza e allo stesso tempo dello spreco.
Edificio Delta. Un’idea, solo una piccola idea di quanto avvenuto, la dà la sirena dell’allarme anticendio che “strilla” il terrore e l’angoscia nei corridoi ormai vuoti. La palazzina è quella vicina al Pronto soccorso. Ospita (ospitava) reparti come medicina, geriatria, pneumologia, cardiologia. Era uno dei due padiglioni Delta (per via della loro forma) e dicono che ha (aveva) circa duecento posti letto, la metà di tutto l’ospedale. Immaginiamo la scena. Il personale Asl, i pazienti devono lasciarla in fretta, talmente in fretta per paura che crolli tutto da un momento all’altro, che lasciano gli strumenti sulle scrivanie, gli armadi aperti con dentro vestiti e camici, le chiavi degli uffici sulle sedie. Non c’è stato tempo quel giorno di prendere cerotti, bende, medicinali che pure oggi possono essere utili. Davanti agli ascensori è venuta giù una trave che sbarra l’ingresso, i vetri sono in frantumi.
Pronto soccorso. “L’ospedale fantasma” continua qualche passo più in là, passando sotto i cornicioni dai quali spuntano i tondini di ferro. Nella sala accettazione il display luminoso segna la data aggiornata, come se il tempo non si fosse fermato. “Vietato l’accesso al personale non autorizzato” c’è scritto sulla porta che ridà nel corridoio del Pronto soccorso. Qui, il poliziotto del posto fisso, ricorda che c’era un continuo via-vai di ambulanze. Entravano nel tunnel e scaricavano feriti e malati.
Oggi le barelle sono ammucchiate da una parte con le lenzuola intrise di sangue lasciate ai piedi. Sul pavimento non si contano i guanti in lattice che sanno di interventi chirurgici dell’ultima ora e disseminati in tutti i locali. Sembra viverli quei minuti frenetici mentre la terra trema. Uno stetoscopio è su una brandina, fazzoletti e mascherine sono su uno sgabello. Gli infermieri contavano forse di tornare a prenderli, ma le nuove scosse sismiche, l’ordine di sgombero e la paura impediscono loro di rientrare in quei locali dove hanno lavorato fino all’ultimo momento.
Uno strumento radiologico è attaccato alla barella della medicheria, addirittura uno di quei mezzi elettrici utilizzati per trainare letti e barelle, ha le chiavi inserite nel quadro.
L’edificio tre. Padiglione centrale. I dipendenti Asl radunati fuori dall’ospedale, raccontano che questo padiglione, come quello della Farmacia, è stato costruito in larghezza piuttosto che in altezza proprio in considerazione di possibili scosse sismiche. Una beffa, visto che danni rilevanti sono stati riscontrati nel magazzino farmaceutico e nella costruzione in mattoncini dove sono la Radiologia, la Tac, la Risonanza magnetica, l’Ecografia di Medicina nucleare e l’ufficio vaccinazioni. Apparecchi che costano milioni e che giacciono sotto un velo di polvere. «La nostra speranza è di recuperarli prima possibile e di metterli a servizio dei terremotati», spiega il direttore generale Asl Roberto Marzetti. Ma per realizzarla ci sarà bisogno forse di aspettare almeno due settimane, il tempo necessario per organizzare una serie di lavori di puntellatura e pulizia e di ripristinare i servizi essenziali.
Non si parla nemmeno, invece, dei lavori per ripristinare l’insegna azzurra che giganteggiava all’ingresso del San Salvatore. E’ venuta giù da una decina di metri, frantumandosi lettera dopo lettera sul piazzale del laboratorio analisi. «Io non ci torno lassù», afferma un’infermiera indicando quel piano sospeso. Sotto, a sorregerlo, ci sono i pilastri in cemento armato: uno si è letteralmente piegato, un altro si è “aperto” lasciando intravedere uno squarcio di polvere bianca; gli altri sembrano aver retto. Davanti c’è la portineria, la gabbia da dove venivano alzate le sbarre ad ambulanze e pazienti. La porta è aperta, il televisore spento. E un santino affisso sul vetro ricorda che “Dio ci ha chiamati a vivere in pace”.
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Nel momento dell’emergenza, la struttura che doveva servire di più, è vuota, abbandonata, lesionata da crepe, circondata da calcinacci e con i pilastri in cemento armato che si sono piegati.
Progettato negli anni Settanta, inaugurato nel Duemila, il San Salvatore è il “gigante con i piedi d’argilla” che si è arreso alla scossa delle 3,32 di lunedì mattina. Ed è diventato lo “scandalo del terremoto”.
Eppure qui fino a martedì, medici e infermieri hanno continuato a medicare, operare, aiutare, contribuito ad alimentare qualche speranza. E hanno visto i primi morti schiacciati dalle macerie, mentre le sale chirurgiche perdevano pezzi, dal soffitto cadevano lamiere e i mattoni si erano già spostati dalle pareti. Poi è arrivato l’ordine di sgombero, il San Salvatore è diventato troppo pericoloso per tutti, e sale e laboratori si sono trasformati in una sorta di museo della sofferenza e allo stesso tempo dello spreco.
Edificio Delta. Un’idea, solo una piccola idea di quanto avvenuto, la dà la sirena dell’allarme anticendio che “strilla” il terrore e l’angoscia nei corridoi ormai vuoti. La palazzina è quella vicina al Pronto soccorso. Ospita (ospitava) reparti come medicina, geriatria, pneumologia, cardiologia. Era uno dei due padiglioni Delta (per via della loro forma) e dicono che ha (aveva) circa duecento posti letto, la metà di tutto l’ospedale. Immaginiamo la scena. Il personale Asl, i pazienti devono lasciarla in fretta, talmente in fretta per paura che crolli tutto da un momento all’altro, che lasciano gli strumenti sulle scrivanie, gli armadi aperti con dentro vestiti e camici, le chiavi degli uffici sulle sedie. Non c’è stato tempo quel giorno di prendere cerotti, bende, medicinali che pure oggi possono essere utili. Davanti agli ascensori è venuta giù una trave che sbarra l’ingresso, i vetri sono in frantumi.
Pronto soccorso. “L’ospedale fantasma” continua qualche passo più in là, passando sotto i cornicioni dai quali spuntano i tondini di ferro. Nella sala accettazione il display luminoso segna la data aggiornata, come se il tempo non si fosse fermato. “Vietato l’accesso al personale non autorizzato” c’è scritto sulla porta che ridà nel corridoio del Pronto soccorso. Qui, il poliziotto del posto fisso, ricorda che c’era un continuo via-vai di ambulanze. Entravano nel tunnel e scaricavano feriti e malati.
Oggi le barelle sono ammucchiate da una parte con le lenzuola intrise di sangue lasciate ai piedi. Sul pavimento non si contano i guanti in lattice che sanno di interventi chirurgici dell’ultima ora e disseminati in tutti i locali. Sembra viverli quei minuti frenetici mentre la terra trema. Uno stetoscopio è su una brandina, fazzoletti e mascherine sono su uno sgabello. Gli infermieri contavano forse di tornare a prenderli, ma le nuove scosse sismiche, l’ordine di sgombero e la paura impediscono loro di rientrare in quei locali dove hanno lavorato fino all’ultimo momento.
Uno strumento radiologico è attaccato alla barella della medicheria, addirittura uno di quei mezzi elettrici utilizzati per trainare letti e barelle, ha le chiavi inserite nel quadro.
L’edificio tre. Padiglione centrale. I dipendenti Asl radunati fuori dall’ospedale, raccontano che questo padiglione, come quello della Farmacia, è stato costruito in larghezza piuttosto che in altezza proprio in considerazione di possibili scosse sismiche. Una beffa, visto che danni rilevanti sono stati riscontrati nel magazzino farmaceutico e nella costruzione in mattoncini dove sono la Radiologia, la Tac, la Risonanza magnetica, l’Ecografia di Medicina nucleare e l’ufficio vaccinazioni. Apparecchi che costano milioni e che giacciono sotto un velo di polvere. «La nostra speranza è di recuperarli prima possibile e di metterli a servizio dei terremotati», spiega il direttore generale Asl Roberto Marzetti. Ma per realizzarla ci sarà bisogno forse di aspettare almeno due settimane, il tempo necessario per organizzare una serie di lavori di puntellatura e pulizia e di ripristinare i servizi essenziali.
Non si parla nemmeno, invece, dei lavori per ripristinare l’insegna azzurra che giganteggiava all’ingresso del San Salvatore. E’ venuta giù da una decina di metri, frantumandosi lettera dopo lettera sul piazzale del laboratorio analisi. «Io non ci torno lassù», afferma un’infermiera indicando quel piano sospeso. Sotto, a sorregerlo, ci sono i pilastri in cemento armato: uno si è letteralmente piegato, un altro si è “aperto” lasciando intravedere uno squarcio di polvere bianca; gli altri sembrano aver retto. Davanti c’è la portineria, la gabbia da dove venivano alzate le sbarre ad ambulanze e pazienti. La porta è aperta, il televisore spento. E un santino affisso sul vetro ricorda che “Dio ci ha chiamati a vivere in pace”.