Gli alunni e l’autrice: fragilità e rinascita con Donatella Di Pietrantonio

Problemi adolescenziali e attualità al centro del confronto: «Scioccante tornare a parlare di guerra alle porte dell’Europa»
L’AQUILA. Problemi adolescenziali, parità di genere e sfide future con guerre, cambiamenti climatici e intelligenza artificiale. Ma anche un viaggio introspettivo che Donatella Di Pietrantonio percorre per spiegare il significato del termine fragilità. Seduta davanti a 500 studenti della Carducci l’autrice del libro “L’età fragile” (Premio Strega 2024), risponde a tre ore di domande. Molte dirette e pungenti, come solo un dodicenne può fare. Un appuntamento voluto dalla dirigente scolastica Alessandra Di Mascio e organizzato dalle docenti Emanuela Fiamma e Leontina Verticchio, con l’ausilio dell’associazione “Il cielo capovolto”, che si è tenuto nell’Auditorium della Scuola ispettori e sovrintendenti della Guardia di Finanza. L’opera spiega che non esiste un’età senza paura. Si è fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta.
Ma c’è un momento preciso, quello del primo ingresso nel mondo, in cui i giovani sono esposti e nudi. Dopo questa premessa a rompere il ghiaccio è Amarantha, prima media: «Se la nostra eredità sono le ferite, siamo destinati a ricordare tutte le cose brutte?». L’autrice spiega che la frase non è scritta da lei, ma è il commento della casa editrice Einaudi per riassumere il contenuto del testo. Ma per rispondere ad Amarantha fa un esempio concreto. «Se in casa c’è una tensione particolare, anche se non se ne parla, io sono sicura che voi la tensione l’avvertite e così succede nel romanzo. Quindi sì, le ferite si tramandano soprattutto se c’è silenzio questo significa che le cose è meglio dirle anche se pensiamo che possano far male». Di sfondo nel romanzo appare la pandemia, vissuta dalla giovane protagonista e dalla sua famiglia.
«La pandemia mi serviva per creare una sorta di riverbero tra quello che vive la protagonista dentro di sé, che torna a casa e si chiude nel suo silenzio non comunicando neanche con la madre, e quello che succede nel resto del Paese». Centrale il tema dell’adolescenza di Amanda, la protagonista, nel pieno di una crisi personale di ragazza che attraversa un momento di fragilità, che s’intreccia con la fragilità planetaria dovuta al Covid. Così anche nel suo libro “Bella mia” ispirato al terremoto dell’Aquila quando l’autrice racconta una sofferenza individuale sullo sfondo del dolore collettivo. Poi il passaggio alla parità di genere con la domanda ai presenti: «Abbiamo raggiunto realmente la parità?».
Il no è corale. «Esatto, non l’abbiamo raggiunta per tanti motivi: per esempio le donne a parità di lavoro e capacità guadagnano molto meno degli uomini e i numeri parlano chiaro. Però l’autonomia economica è la cosa più importante a cui dobbiamo tendere perché essere indipendenti significa essere libere». Ma è Carlotta a far emozionare di più la scrittrice: «Qual è stato il momento che l’ha ferita di più?». I ricordi sono tristi. «Quando la mia famiglia per farmi studiare si è trasferita da una contrada teramana più a valle. Avevo poco meno della vostra età e a scuola ero diversa, venivo dalla montagna non ero vestita come gli altri, non avevo il telefono in casa. Ero quella che alla fine delle lezioni riprendeva l’autobus ed era irreperibile. Per me un momento di grande sofferenza: mi sentivo diversa e inferiore, guardata sempre perché povera. È stata dura». E per il futuro? «Non abbiamo preparato per voi il migliore dei mondi possibili, è scioccante tornare a parlare di guerra alle porte dell’Europa».
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