I ricordi di chi visse gli eventi in prefettura
Lalli: ero presente alla seduta del consiglio regionale durante la quale si scatenarono i tumulti
26/02/1971: Come era prescritto dalla legge elettorale, il consiglio regionale eletto nel 1970 era stato convocato nella sala del consiglio Provinciale dell’Aquila (sede anche della Prefettura) per approvare lo statuto e in particolare l’articolo 2 dedicato alla scelta del capoluogo. Il consiglio era schierato metà per L’Aquila e metà per Pescara. L’Aquila si era mobilitata. Il prefetto, temendo disordini, aveva chiesto invano l’invio di rinforzi. La riunione ebbe inizio nel pomeriggio. Mentre i consiglieri discutevano di varie problematiche senza entrare nel merito della questione “capoluogo” in alcuni uffici della Prefettura, dove prestavo servizio, si susseguivano incontri tra esponenti politici alla spasmodica ricerca di una soluzione accettabile per tutti. Nel frattempo i cittadini affluivano sempre più numerosi occupando oltre la parte della sala consiliare riservata al pubblico anche il corridoio e la scalinata di accesso al palazzo. Si respirava un’aria di estrema tensione. Nessuno faceva pronostici. Verso sera si sparse la voce che l’accordo era stato raggiunto. Il Prefetto consigliò il presidente del Consiglio regionale Mattucci ad attendere che il pubblico per stanchezza abbandonasse i lavori prima di fare comunicazioni sull’esito delle trattative, ma il presidente ritenne che la soluzione trovata avrebbe accontentato tutti e, verso le 19, in un’aula stracolma annunciò: «Il capoluogo della Regione Abruzzo e sede degli organi regionali è la città di L’Aquila». A tali parole il pubblico esplose con un fragoroso applauso e grida entusiastiche. Il presidente proseguì «le riunioni del Consiglio e della Giunta regionale avranno luogo all’Aquila e Pescara». Ricordo di aver captato soltanto l’inizio della parola “Pe” e non aver percepito “..scara” perché si scatenò un putiferio indescrivibile. Fischi, insulti, lanci di monetine venivano indirizzati in particolare ai consiglieri regionali aquilani: una monetina colpì il consigliere Brini che reagì minacciando di lanciare una bottiglia verso il pubblico ma fu bloccato dal colonnello dei carabinieri Nucciarelli. Il presidente Mattucci terminò a stento la lettura della norma con la distribuzione degli Assessorati: 7 a Pescara e 3 all’Aquila. A questo punto la protesta divenne incontenibile e i consiglieri regionali attraverso una porta laterale si rifugiarono nello studio del Prefetto. I consiglieri cominciarono a temere per la propria incolumità anche se il Prefetto li rassicurava che avrebbe provveduto a farli uscire. Dopo alcuni tentennamenti la controversa norma statutaria fu approvata con 38 voti favorevoli, uno contrario (Ferri) e un astenuto (Susi) e si cercò di non far trapelare la decisione all’esterno. Verso le 23 arrivò il Battaglione allievi Carabinieri da Chieti. Con pazienza e fatica si cercò di convincere il pubblico che la seduta del Consiglio era stata rinviata e con difficoltà si riuscì a far defluire il pubblico e a chiudere la porta esterna della sala. Soltanto in quel momento i consiglieri regionali, attraversando l’alloggio del Prefetto, uscirono dal retro dello stabile dove erano attesi da mezzi della Polizia. La gente era però esasperata; si sentiva tradita dai propri rappresentanti. Era diffusa la convinzione che nel giorno seguente si sarebbero verificate proteste imprevedibili. Infatti nel mattino del 27 febbraio gruppi di manifestanti accesero falò nelle strade e presero d’assalto le sedi locali dei vari partiti (Dc, Psi, Psdi, etc..). L’ultima sede attaccata fu quella del Pci che fu difesa fino al primo pomeriggio da alcuni iscritti che, poi, su invito del Questore, si allontanarono. Successivamente furono prese di mira le abitazioni di alcuni esponenti politici aquilani che prudenzialmente avevano temporaneamente lasciato la città. Fu dato alle fiamme anche il negozio del pescarese Monti. Soltanto nel tardo pomeriggio di sabato giunse un consistente contingente di celerini guidati dal Capo della Polizia Vicari, che rimosse immediatamente il Questore (capro espiatorio incolpevole della situazione) e cercò di riportare la calma, ma non fu facile. Nei giorni seguenti vi furono anzi momenti di tensione e di frizione tra i cittadini e le forze dell’ordine che credevano di dover fronteggiare una situazione simile a quella verificatasi a Reggio Calabria. Soltanto quando si acquisì la convinzione che la rivolta aquilana non poteva essere paragonata a quella reggina, che aveva caratteri di ribellione politica verso lo Stato, e i celerini si allontanarono dalla città, la situazione tornò gradualmente alla normalità.
* ex prefetto e testimone
degli avvenimenti