parla l'ex miss

L'Aquila, «Ma quale truffa, ho fatto risparmiare soldi pubblici»

L’ingegnere Maria Chiara Farina racconta la sua verità dopo il rinvio a giudizio in tribunale. L’ex finalista di Miss Italia: «Dimostrerò facilmente che sono innocente»

L’AQUILA. «Non sono frastornata e nemmeno preoccupata. Conto di spiegare al tribunale la ragione della mia estraneità ai fatti contestati: non ho preso un euro e tantomeno ho fatto guadagnare un euro alla ditta esecutrice». Maria Chiara Farina, ingegnere edile, 30 anni, ex finalista di Miss Italia, si tira fuori dall’accusa di truffa nell’ambito della ricostruzione per la quale è stata rinviata a giudizio insieme a un imprenditore. Ora vuole mettere «i puntini sulle i» per raccontare la sua verità anche perché si considera «più brava che bella»: il concorso di Miss Italia fu una grande esperienza ma fa parte del passato.

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«Mi preme dimostrare», dice, «che non un soldo pubblico è mai stato speso per causa mia. Pure la Finanza lo dice chiaramente: per la ristrutturazione dell’immobile ho rendicontato a fine lavori la metà di quanto inizialmente asseverato dal Comune. Scusate la pedanteria ma l’immobile era su due livelli, contributo concesso 69mila euro e quello rendicontato soli 34mila per il piano superiore; per il piano terra 73mila euro il contributo ammesso, lavoro rendicontato 47mila euro! Mi trovate in Abruzzo un caso in cui un professionista fa risparmiare tanto sulla somma assentita? Ho fatto il mio lavoro anche bacchettando la ditta esecutrice dove era necessario. E ho tutelato la proprietà che ha lealmente dato atto di aver consigliato di non pagare una fattura emessa per errore. Pure il mio consulente, Alessio Anzuini, mi ha detto che sono stata troppo diligente».

L’accusa parla del tentativo di procurarsi 6.700 euro da Imprendo Italia. «Non è così», spiega. «L’accusa è che avrei contabilizzato lavori in più che non sarebbero stati realizzati. Per fortuna il perito del giudice ha ridimensionato ampiamente le originarie contestazioni del tecnici comunali. Il nodo è rappresentato da 10 metri quadrati di mattonelle del bagno e pittura di due pareti: il pm in udienza ne ha preso atto modificando l’imputazione. E alla fine restano quasi 4mila euro su oltre 80mila di lavori che non tornano esattamente. È chiaro che la parola truffa evoca Totò che vende la fontana di Trevi, ma qui le cose sono diverse».

«Il perito del giudice», prosegue, «dice: “tu contabilizzi 76 euro a metro quadrato di posa di mattonelle perché le consideri levigate. Ma io nel sopralluogo le vedo opache e quindi dovevi contabilizzarle di meno”. Ma le piastrelle sono realmente levigate e ho l’attestazione del fornitore che esibirò in tribunale. Il tecnico afferma che i muri sono pitturati a pennello quando per me lo erano a rullo. Ma questo mi ha detto l’impresa e sfido chiunque a verificare la differenza».

«So dai miei avvocati, Aldo Areddu e Ubaldo Lopardi», aggiunge l’ingegnere, «che il gup Giuseppe Romano Gargarella che mi ha mandato a giudizio è serissimo e attento. Non doveva giudicarmi, ma solo decidere se vi era materiale per approfondire e tra piastrelle e pennelli da discutere ci può essere. Ma in tribunale, con le carte, consulenti e documenti dimostrerò agevolmente che tutto è stato correttamente quantificato».

«Ho la serenità», conclude la professionista che è originaria della Valle Roveto, «di avere fatto il mio dovere. Era il mio primo incarico, mi ero laureata meno di due anni prima e ci tenevo a condurlo al massimo dell’impegno e della professionalità».

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