Manifesti di scuse agli elettori
Il gruppo Misto: un errore far votare La Civita sindaco
SULMONA. Fino a un mese fa lo scontro si faceva in consiglio comunale. Ora, dopo lo sfratto imposto dal Prefetto, la battaglia tra Franco La Civita e i suoi avversari politici si è spostata sui muri della città. Era stato il sindaco ad aprire le ostilità con un durissimo manifesto pieno di accuse nei confronti di chi, prima non votando il bilancio di previsione e poi dimettendosi l'aveva mandato a casa.
Puntuali, i cinque dissidenti del Gruppo misto, partono al contrattacco e la replica è ancora più pesante. «Siamo orgogliosi di aver liberato la città da un uomo capace, capace di tutto». È la chiosa del manifesto in cui Angelo Amori, Dino Fasciani, Andrea Gerosolimo e Luigi Rapone chiedono scusa ai cittadini per aver fatto votare Franco La Civita. Un manifesto che non è firmato da Giulio De Santis, «ma solo perché sono stato eletto nelle liste di Forza Italia», si affretta a precisare l'esponente dell'Udeur, che sottolinea, però, di condividerne pienamente il contenuto. «Un sindaco che dal giorno del suo insediamento a palazzo San Francesco ha avuto come unico obiettivo quello di essere candidato alla Camera dei deputati», scrivono i quattro dissidenti, «il suo personale disegno politico ha prodotto solo danni per la città, per la coalizione di centrosinistra e per la maggioranza, fino a ritorcersi contro se stesso».
Dopo aver ricordato le nomine dei suoi fedelissimi nei posti strategici del potere cittadino, Gerosolimo e gli altri fanno un lungo elenco della spesa. «Ricordiamo la farsa dei manifesti con gli operai della Finmek; il suo scarso impegno ad eleggere candidati locali al consiglio regionale; le inopportune spese per l'istituzione del city manager». Poi il mirino si sposta sui comportamenti politici del sindaco. «Ha portato avanti la politica dell'aggressione, del denigrare l'avversario, del narcisissmo esasperato», prosegue il manifesto, «ignorando quella del confronto, della democrazia e della partecipazione, determinando lo scioglimento del consiglio comunale». Quindi la chiusura. «Ora l'ex sindaco cerca di addossare ad altri le sue responsabilità, immolandosi nel trionfo dell'abnegazione assoluta, dei nobili ideali e del bene cittadino, pur cosciente di essere rimasto vittima sepolta del suo stesso modo di concepire la politica. Ma il tempo è galantuomo».
Puntuali, i cinque dissidenti del Gruppo misto, partono al contrattacco e la replica è ancora più pesante. «Siamo orgogliosi di aver liberato la città da un uomo capace, capace di tutto». È la chiosa del manifesto in cui Angelo Amori, Dino Fasciani, Andrea Gerosolimo e Luigi Rapone chiedono scusa ai cittadini per aver fatto votare Franco La Civita. Un manifesto che non è firmato da Giulio De Santis, «ma solo perché sono stato eletto nelle liste di Forza Italia», si affretta a precisare l'esponente dell'Udeur, che sottolinea, però, di condividerne pienamente il contenuto. «Un sindaco che dal giorno del suo insediamento a palazzo San Francesco ha avuto come unico obiettivo quello di essere candidato alla Camera dei deputati», scrivono i quattro dissidenti, «il suo personale disegno politico ha prodotto solo danni per la città, per la coalizione di centrosinistra e per la maggioranza, fino a ritorcersi contro se stesso».
Dopo aver ricordato le nomine dei suoi fedelissimi nei posti strategici del potere cittadino, Gerosolimo e gli altri fanno un lungo elenco della spesa. «Ricordiamo la farsa dei manifesti con gli operai della Finmek; il suo scarso impegno ad eleggere candidati locali al consiglio regionale; le inopportune spese per l'istituzione del city manager». Poi il mirino si sposta sui comportamenti politici del sindaco. «Ha portato avanti la politica dell'aggressione, del denigrare l'avversario, del narcisissmo esasperato», prosegue il manifesto, «ignorando quella del confronto, della democrazia e della partecipazione, determinando lo scioglimento del consiglio comunale». Quindi la chiusura. «Ora l'ex sindaco cerca di addossare ad altri le sue responsabilità, immolandosi nel trionfo dell'abnegazione assoluta, dei nobili ideali e del bene cittadino, pur cosciente di essere rimasto vittima sepolta del suo stesso modo di concepire la politica. Ma il tempo è galantuomo».