SCANNO
Orso morto, l'esame radiologico esclude l'azione dei bracconieri
Non emersi colpi di fucile né proiettili nella carcassa. E nessun boccone killer trovato dai cani antiveleno. Si fa sempre più largo l’ipotesi della competizione con un altro animale
SCANNO. Si fa sempre più concreta l’ipotesi di una competizione tra animali per la morte dell’orso bruno marsicano, avvenuta lo scorso sabato, all’interno della foresta regionale Chiarano-Sparvera, sul territorio comunale di Scanno. La carcassa è stata sottoposta ieri a un esame radiologico, effettuato nell’ospedale veterinario didattico dell’Università di Teramo. I medici hanno escluso l’ipotesi dell’uccisione dell’orso con colpi d’arma da fuoco, dal momento che non sono stati trovati proiettili né nell’area dove è avvenuto il fatto né all’interno della carcassa.
L’animale, in ogni caso, sarà sottoposto a ulteriori accertamenti. Nell’Istituto zooprofilattico di Teramo, dev'essere effettuata la necroscopia. L’esame deve chiarire le cause della morte ed escludere atti di bracconaggio o avvelenamento.
I Nuclei cinofili antiveleno del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise hanno perlustrato la zona dove è stata trovata la carcassa dell’animale, alla ricerca di eventuali esche avvelenate. Nel corso della bonifica non sono emersi elementi in tal senso. Per questo la pista più accreditata resta quella dell’uccisione causata da un altro esemplare di orso bruno marsicano. Sulla carcassa dell’orso, infatti, sono state rinvenute ferite e segni di colluttazione che fanno pensare a uno scontro con un altro animale.
I carabinieri forestali di Sulmona e il personale del Parco hanno rinvenuto ciuffi di pelo, proprio sul luogo dove è stata rinvenuta la carcassa. I reperti, sono stati inviati all’ Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) per l’analisi genetica, che valuterà se appartengono allo stesso individuo o a un suo simile.
«Attendiamo l’esame necroscopico per ulteriori conferme. Certo finora i rilievi parlano chiaro» afferma Luciano Sammarone, direttore del Pnalm. A fare la scoperta, è stato Sabatino Ferrara, un imprenditore di 64 anni residente a Rivisondoli, durante un’escursione in montagna. Ferrara ha immediatamente allertato le autorità competenti, portando sul posto una pattuglia del nucleo carabinieri forestali di Sulmona, insieme al direttore del Parco, al servizio sorveglianza, veterinario e tecnici della Riserva Monte Genzana Alto Gizio.
L’Aida, associazione italiana difesa animali e ambiente, ha presentato un esposto alla Procura di Sulmona, per chiedere indagini approfondite sull’ipotesi di avvelenamento, ipotizzando una diatriba tra tartufai. Ciò ha scatenato la dura reazione dell’Associazione micologica tartufai abruzzesi (Amta) che ha respinto le accuse, sostenendo che «non tutti i mali del mondo sono colpa dei tartufai, anzi forse nessuno. Servirebbe un po’ più di razionalità quando si prendono certe posizioni».