Ospedale, le visite ancora nei container
Una mattinata nell’ala denominata G8 tra disagi e precarietà. E poi quei fogli “volanti” con indicazioni esilaranti
L’AQUILA. Premessa: nel marzo del 2014 prenoto una visita a dermatologia oncologica (per un banale controllo dei nei). Immaginavo che i tempi non sarebbero stati brevi ma speravo di cavarmela in un paio di mesi. E invece risposta choc: se vuoi la visita al San Salvatore ci vediamo il 19 novembre del 2015. Se avessi avuto qualche problema serio ora sarei nel posto da dove non si torna.
Ieri mattina arrivo poco prima delle 10, l’orario fissato sul modello di prenotazione. Già il parcheggio è un dramma. Alla fine sono costretto a salire, con il rischio di spaccare le gomme, su una specie di marciapiede erboso. Vado verso l’ospedale. Dove sarà dermatologia oncologica? Ho solo una mezza indicazione: vicino alle casse ticket. Attraverso un paio di corridoi stracolmi di pazienti in attesa del proprio turno. Arrivo finalmente a destinazione. Appare tutto un po’ caotico. Gli infermieri e il personale ausiliario sembrano delle guide turistiche impegnate a dare indicazioni ai poveri utenti i quali, con l’impegnativa in mano, cercano il porto nel quale approdare. Mi fermo per cinque minuti davanti alla porta dove c’è l’indicazione “dermatologia oncologica” e attendo gli eventi. A un certo punto noto un foglietto volante attaccato al vetro. È scritto a mano, con penna nera e a stampatello. Informa che solo per quel giorno le visite non si fanno in quel posto ma al G8. Il G8? C’è ancora l’ospedale del G8? Sì, quella struttura provvisoria che nel 2009, dopo il terremoto, fu portata in gran fretta dalla Maddalena all’Aquila, è sempre lì. Non resta che andare. Per orientarsi bisogna seguire i foglietti volanti appesi qua e là. Negli ospedali degni di questo nome per terra ci sono linee colorate e indicazioni chiare. Qui invece sono i foglietti a farla da padrone. Sono loro il segno della precarietà. Arrivo all’ingresso, da fuori non sembra ma basta fare pochi passi e ci si trova dentro un container. Grazie alla gentilezza di qualche infermiere vengo a sapere che l’ambulatorio che mi interessa è in fondo al corridoio. Per arrivarci devo passare dove si fanno le visite pediatriche. Ci sono bambini, con mamme e papà, che attendono il loro turno. Non mi sembra il massimo né della riservatezza né della buona sanità, ma tant’è.
Finalmente ci sono. Consegno la mia impegnativa e attendo. Passano i minuti e comincio a guardarmi intorno. E sì, è proprio vero, dopo quasi sette anni l’ospedale del G8 è sempre lì. Faccio con il telefonino un rapido consulto su Internet. Spunta un articolo di Abruzzoweb del 30 giugno 2012. C’è un passaggio nel quale il manager Giancarlo Silveri dice sicuro: entro l’anno il G8 sarà svuotato e restituito alla Protezione civile. Appunto. Poi comincio a guardare i foglietti appesi un po’ ovunque. Alcuni sono esilaranti: i signori utenti sono pregati di bussare senza aprire la porta; questa non è l’uscita, l’uscita si trova dietro le vostre spalle sulla destra; qui non si effettuano né occhiate né occhiatine ma solo visite dermatologiche (questo va spiegato: ci sono molti casi di pazienti accompagnati da parenti i quali alla fine chiedono al medico di dare un’occhiatina anche ai loro nei, visto che ci si trovano).
Proprio in fondo al corridoio del G8 c’è una porta. In alto un cartello in plastica indica: uscita d’emergenza. Sotto compare un foglio di carta dove c’è scritto: vietato uscire. Tanto per essere chiari. Un altro foglio volante, inserito in una cartellina di plastica, presuppone che l’ospedale sia una sorta di Far west: «Si ricorda che offendere o aggredire verbalmente e fisicamente gli operatori della struttura sanitaria costituisce reato e pertanto gli atti di violenza saranno perseguiti a norma di legge». Evidentemente qualcuno ha picchiato un medico e poi si è giustificato dicendo: non sapevo fosse reato. Ma i problemi dei container del G8 non sono solo nei cartelli esilaranti.
Gli addetti parlano di una struttura dove si lavora male, fa caldo d’estate e freddo d’inverno, stanze piccole e poco funzionali, continue promesse di trasferimento sempre cadute nel vuoto. Per non dire della penuria di personale e dei precari che temono di essere cacciati in ogni momento _ magari dopo anni di servizio _ e che invece sono fondamentali per mandare avanti gli ambulatori.
Che la sanità aquilana debba, dopo sette anni, ancora utilizzare i container non è bello né da vedere né da raccontare. Ah, dimenticavo: i miei nei non hanno problemi, l’ospedale, forse, qualche neo sospetto ce l’ha.
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