Padre Giovanni a 97 anni si arrende al coronavirus
Il frate originario di Tagliacozzo è la quinta vittima della casa di riposo di Lanciano Storico parroco di Pettino, dopo il terremoto non volle abbandonare San Giuliano
L’AQUILA. Dicono che, da qualche parte, nel mondo, quel suo scalcagnato pulmino continui ancor oggi a sbuffare. Alzi la mano chi non ci si è mai fatto un giro sopra. Come pure chi non lo ha mai spinto quando, e tante volte, si fermava.
L’ultima tappa di padre Giovanni Mastroddi (all’anagrafe Francesco) è stata Lanciano. Lì studiò teologia. E vi era tornato da alcuni anni. Lo storico parroco di Pettino, sopravvissuto al terremoto, non ce l’ha fatta a sconfiggere il coronavirus. Si è spento all’Antoniano, quinta vittima di una conta infinita di morti, in quella come in altre case per anziani. Lui anziano lo era solo sulla carta d’identità. A febbraio sarebbe entrato nei 98. Nato a Tagliacozzo il 25 febbraio 1923 – e vissuto praticamente tutta la vita nel convento francescano di San Giuliano – ha legato il suo nome alla parrocchia di Pettino, da lui guidata ininterrottamente dal 1955 fino al 2007, prima di lasciarla nelle mani del suo successore don Dante Di Nardo. Padre Giovanni, dell’Ordine dei Frati Minori, fu ordinato sacerdote il 20 giugno 1949. La sua impresa titanica resta la costruzione dell’edificio della chiesa di San Francesco d’Assisi a Pettino. Impresa per la quale ha costantemente sollecitato il sostegno di fedeli e mecenati.
All’epoca il quartiere non era ancora sviluppato nella sua conformazione attuale. E il fraticello, che non risparmiava sferzate – e non soltanto metaforiche – a chi non riusciva a star dietro al suo entusiasmo, alla fine è riuscito a creare anche la nuova casa di Dio in mezzo alle (tante) case degli uomini. Attorno a essa è fiorita una delle più attive realtà parrocchiali, in prima linea nel servizio della carità e dell’accoglienza. Molti i parrocchiani che lo ricordano sempre a disposizione della sua gente, ma anche con gli attrezzi da muratore in mano. E domani, tra quelle mura, tornerà per l’ultima volta, per le esequie fissate alle 11 nella “sua” chiesa. «Mentre ricordo con gratitudine il carissimo padre Giovanni», dice il suo successore, don Dante, «penso che la città debba molto a lui e non solo il quartiere di Pettino. Infatti, oltre al ministero di parroco, si è speso con grande generosità per lo sviluppo di questa zona. Non esagero dicendo che è stato uno tra i maggiori artefici e promotori dello sviluppo di Pettino e quindi anche della città».
L’altra sua casa è quella di San Giuliano. Sul Conventino, riaperto nel 2013, vigilò con particolare cura dopo il 6 aprile. Non volle mai allontanarsi – come la profetessa Anna del Vangelo – da quel tempietto antico di secoli. Per due mesi dormì nella lavanderia, un piccolo stabile nell’orto superiore, per poi tornare nella cameretta all’ultimo piano del convento. «Andar via? Non posso», disse al Centro. «Qui ci sono tesori preziosi: una biblioteca con 40mila volumi, di cui alcuni incunaboli, il museo, la chiesa, il convento. E l’orto. Se non io, chi ci pensa?».
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