Revocati a Taccone gli arresti domiciliari
Lunedì terrà una conferenza stampa. «Non credevo di avere tanti amici»
AVEZZANO. Revocati a Vito Taccone gli arresti domiciliari. Il provvedimento è stato preso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avezzano, Alberto Amodio, su istanza dei legali dell'ex ciclista, Antonio Milo e Crescenzo Presutti. Taccone ha solo l'obbligo di presentarsi la sera nella caserma della Finanza per la firma. L'ex ciclista è stato arrestato nell'ambito dell'operazione della Finanza contro il commercio di merce contraffatta.
Nell'inchiesta è stato coinvolto anche il sindaco di Aielli, Giuseppe Di Natale, al quale qualche giorno fa il giudice ha revocato l'obbligo di domora. Gli altri nove indagati sono del Napoletano. I legali di Vito Taccone hanno presentato l'istanza di scarcerazione direttamente al Gip di Avezzano, rinunciando di ricorrere al tribunale del riesame dell'Aquila. Il pubblico ministero, Guido Cocco, ha dato parere favorevole alla scarcerazione dell'ex ciclista. Per lunedì Taccone ha annunciato una conferenza stampa. «In questa vicenda», torna a ripetere l'ex campione di ciclismo, «io non c'entro niente. E lo dimosterò al processo, che spero venga celebrato il più presto possibile». Da quando ha ottenuto i «domiciliari» Taccone si è buttato a capofitto nel lavoro nel suo stabilimento di Forme di Massa d'Albe, dove produce l'Amaro che porta il suo nome. In famiglia conosce solo lui la ricetta dell'Amaro. Gli fu data da un frate di Luco dei Marsi. Finora non l'ha voluta rivelare a nessuno. Cosi per tutto il tempo che è stato in carcere la produzione si è fermata.
Tantissimi gli attestati di stima e di solidarietà ricevuti in queste settimane. «Questa disgrazia, se così posso chiamarla», prosegue Taccone, «mi ha fatto scoprire tantissime persone che mi vogliono bene. Sono stato contattato dagli organizzatori del Giro d'Italia, da ex corridori, da amici, ma anche da gente che non avevo mai sentito. L'episodio che mi ha colpito di più», rivela l'ex Camoscio d'Abruzzo, «è stata la visita di Marcello Ienca. Per me è stato come un padre e la moglie Anna come una madre. Devo a Marcello la mia carriera di ciclista. Ero ragazzo e correvo in bici insieme al figlio Giorgio. “Tu ha un futuro da ciclista”, mi ripeteva, “non devi mollare”. Quando ha saputo che ero agli arresti domiciliari, Marcello, nonostante i suoi 90 anni, è venuto a trovarmi a Forme. Mi ha buttato le braccia al collo e si è messo a piangere come un bambino. E anch'io ho pianto».
«Sono stato contattato anche», riprende Taccone, «dalle maggiori televisioni, chidendomi l'esclusiva. Ma i soldi non mi importano. Voglio solo dimostare la mia innocenza per meritarmi l'affetto e la stima di quanti in questi giorni, standomi vicino, mi hanno dato la forza di andare avanti».
Nell'inchiesta è stato coinvolto anche il sindaco di Aielli, Giuseppe Di Natale, al quale qualche giorno fa il giudice ha revocato l'obbligo di domora. Gli altri nove indagati sono del Napoletano. I legali di Vito Taccone hanno presentato l'istanza di scarcerazione direttamente al Gip di Avezzano, rinunciando di ricorrere al tribunale del riesame dell'Aquila. Il pubblico ministero, Guido Cocco, ha dato parere favorevole alla scarcerazione dell'ex ciclista. Per lunedì Taccone ha annunciato una conferenza stampa. «In questa vicenda», torna a ripetere l'ex campione di ciclismo, «io non c'entro niente. E lo dimosterò al processo, che spero venga celebrato il più presto possibile». Da quando ha ottenuto i «domiciliari» Taccone si è buttato a capofitto nel lavoro nel suo stabilimento di Forme di Massa d'Albe, dove produce l'Amaro che porta il suo nome. In famiglia conosce solo lui la ricetta dell'Amaro. Gli fu data da un frate di Luco dei Marsi. Finora non l'ha voluta rivelare a nessuno. Cosi per tutto il tempo che è stato in carcere la produzione si è fermata.
Tantissimi gli attestati di stima e di solidarietà ricevuti in queste settimane. «Questa disgrazia, se così posso chiamarla», prosegue Taccone, «mi ha fatto scoprire tantissime persone che mi vogliono bene. Sono stato contattato dagli organizzatori del Giro d'Italia, da ex corridori, da amici, ma anche da gente che non avevo mai sentito. L'episodio che mi ha colpito di più», rivela l'ex Camoscio d'Abruzzo, «è stata la visita di Marcello Ienca. Per me è stato come un padre e la moglie Anna come una madre. Devo a Marcello la mia carriera di ciclista. Ero ragazzo e correvo in bici insieme al figlio Giorgio. “Tu ha un futuro da ciclista”, mi ripeteva, “non devi mollare”. Quando ha saputo che ero agli arresti domiciliari, Marcello, nonostante i suoi 90 anni, è venuto a trovarmi a Forme. Mi ha buttato le braccia al collo e si è messo a piangere come un bambino. E anch'io ho pianto».
«Sono stato contattato anche», riprende Taccone, «dalle maggiori televisioni, chidendomi l'esclusiva. Ma i soldi non mi importano. Voglio solo dimostare la mia innocenza per meritarmi l'affetto e la stima di quanti in questi giorni, standomi vicino, mi hanno dato la forza di andare avanti».