Ricostruzione L'Aquila, Cialente: Chiodi via subito o mi dimetto da sindaco
Il sindaco davanti all’assemblea: «La gente ha deciso, basta con il presidente e la struttura tecnica di Fontana». Ma il ministro Barca prova a mediare
AQUILA. «O io o Chiodi». Seduto all’ombra della facciata delle Anime Sante Cialente tormenta il nodo della cravatta a pallini che di lì a poco toglierà, anche perché qui, ai 30 e passa gradi di piazza Duomo, non la porta nemmeno il ministro Fabrizio Barca in camicia bianca candida. Allora il sindaco rifiata e prende coraggio: «Chiodi deve andarsene subito. Così come la struttura tecnica dell’architetto Gaetano Fontana. La Regione non ha fatto niente dunque non c’entra con la ricostruzione che ce la facciamo noi aquilani».
L’occasione per il nuovo sfogo è il dibattito organizzato in piazza Duomo dai giornalisti del Fatto Quotidiano, presenti insieme al direttore Antonio Padellaro che si dice pronto a sponsorizzare un orologio marcatempo per mettere fretta alla ricostruzione.
Cialente, incurante del caldo, riparte a testa bassa come prima del voto che lo ha lasciato in sella. «Lo devono capire che la campagna elettorale io l’ho trasformata in una sorta di referendum, pro o contro la struttura commissariale, pro o contro la struttura tecnica di Fontana. Un referendum, sì, perché la linea di De Matteis, il candidato di Chiodi, diceva sì al commissario e sì alla struttura di missione. Io ho spinto fortemente negli ultimi comizi. Dissi: chiedo il voto perché domani vanno via Chiodi e Fontana. Ho vinto le elezioni dopo il ballottaggio più partecipato d’Italia. La città si è pronunciata e di questo il governo deve prendere atto. Se Fontana e Chiodi restano se ne va il sindaco ed è una responsabilità del governo».
Cialente è straripante. «Il commissariamento è stato un vulnus democratico che ha portato allo sfacelo, non si è ricostruito nulla. Non c’è neanche l’idea della ricostruzione. Se il governo richiede, per una logica dei partiti di Roma, che il commissario e questi signori debbano rimanere io non ci sto. Allora il sindaco non serve. Credo che se saranno truppe di occupazione vere e proprie, allora dovranno tenere a bada gli aquilani che non faranno più sconti. La mia non è una provocazione, voi lo sapete che io lo faccio, è un dato di fatto. Qualcuno, in questo paese, deve assumersi le responsabilità. Lo so io cosa mi è costato governare tre anni in questa situazione.L’amarezza e il dolore per il ritardo, per questa perdita di tempo e per tutta questa burocrazia sono tutte le mie. Mi sono assunto la responsabilità di calmare gli aquilani. Adesso basta, perché gli aquilani si sono pronunciati.Il governo dice: c’è sempre stata la Regione in tutti i terremoti. Io dico: la Regione Abruzzo finora se n’è accorta? Allora possiamo farne benissimo senza. I Comuni e lo Stato, basta. Quando la Regione si sveglierà e avrà strutture capaci ed efficienti avrà un suo ruolo. Dopodiché ognuno faccia la politica che vuole. I fondi comunitari valgono per L’Aquila come per gli altri territori. Non ci serve una struttura di consulenza. Non ci serve: non so più come dobbiamo dirlo noi aquilani».
Il ministro Barca annota, poi veste i panni del mediatore e cerca di rassicurare il sindaco. «Non gli daremo il tempo di dimettersi, perché scriveremo un buon testo, nei prossimi 10 giorni, per il passaggio che sarà definito entro l’estate con l’uscita del commissario».
Poi si parla di piano di ricostruzione. e di quell’intesa da raggiungere col commissario che sembra ancora parecchio distante.
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