Società elettriche, i Comuni aspettano i soldi
Impianti per la produzione di energia, in via di definizione l’entità della somma da riversare agli enti
AVEZZANO. Per i sovracanoni che i Comuni del bacino imbrifero Liri-Garigliano rivendicano da parte delle società elettriche si è arrivati alla stretta finale. Entro questo mese, su richiesta della Federazione nazionale consorzi imbriferi, le società, circa una quarantina, devono inviare ai consorzi i dati relativi agli impianti per la produzione di energia. Dati che consentirebbero di definire l’entità della somma da corrispondere ai Comuni. I dati relativi agli impianti in Abruzzo e in Campania sono già disponibili, mancano solo quelli del Lazio. Il sovracanone però non va ai singoli Comuni, ma per legge è destinato a un fondo comune che verrà gestito dai consorzi imbriferi. Per questa ragione i 31 Comuni interessati della provincia dell’Aquila, con capofila il Comune di Morino, ai quali andrà il 35% della somma complessiva (alcune centinaia di milioni), a giugno, si sono costituiti in consorzio, con a capo Tonino Mattei. Sette di questi Comuni, il cui numero sarebbe stato ininfluente per la costituzione del consorzio, non vi hanno aderito. Ed ora rischiano di essere tagliati fuori dai benefici loro spettanti. La vicenda del sovracanone è stata caratterizzata da un lungo braccio di ferro tra società elettriche e Comuni. Il Testo unico delle norme sulle acque del 1933 prevedeva delle previdenze (fornitura di energia o sovracanone) solo per i Comuni “rivieraschi”. Una legge del 1953, invece, stabiliva che del sovracanone, oltre ai comuni “rivieraschi”, avrebbero dovuto usufruire anche quelli facenti parte dei bacini imbriferi montani e consorziati. Si poneva però un problema: non tutti i comuni beneficiari del sovracanone e consorziati erano montani. A sanare la questione è intervenuta la legge di stabilità del 24 dicembre 2012: con decorrenza dal primo gennaio 2013, il sovracanone andava pagato per tutti gli impianti di produzione di energia idrolettrica superiore a 220 kw, «senza discrimine altimetrico». Dunque a beneficiarne sarebbero stati anche i Comuni posti «al di fuori del perimetro montano». In tal modo la riforma rendeva omogenee le situazioni, mettendo sul medesimo piano tutti i comuni e tutti gli impianti del bacino.
Le società elettriche però non ci stanno. Ne nasce un contenzioso giudiziario al quale la Cassazione, nel 2018, ha posto fine, dando regione ai Comuni. «Il sovracanone», si legge nella sentenza, «configura una prestazione patrimoniale imposta a fini solidaristici e ha pertanto natura tributaria. Infatti, la legge del 1953 prevede la destinazione del sovracanone a un fondo comune gestito dai consorzi al fine di promuovere lo sviluppo sociale ed economico delle popolazioni interessate e per la realizzazione delle opere che si rendono necessarie per rimediare all’alterazione del corso naturale delle acque causata dalla loro regimazione artificiale. Inoltre», prosegue la sentenza, «i sovracanoni, avendo natura tributaria, appartengono a una materia interamente regolata dalla legge dello Stato. In altri termini ai consorzi il diritto di beneficiare dei sovracanoni viene attribuito direttamente dalla legge». La Finanziaria del 2012 ha stabilito che, dopo cinque anni, i consorzi, avrebbero perso il diritto di usufruire del sovracanone. Tre anni li hanno già persi.
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