Un gesto che riabilita Celestino
Intervento del presidente del centro studi celestiniani sulle dimissioni di Benedetto XVI
La rinuncia al soglio Pontificio, annunciata da Benedetto XVI, è il gesto estremo del senso di responsabilità e di grande amore per la dimensione spirituale, veramente autentica della Chiesa. Ma è anche, come ammesso proprio dallo stesso Papa, il segno di una sua debolezza sia fisica che mentale. Questo annuncio, che ha creato grande sconcerto in tutto il mondo, non soltanto cristiano, ha messo però a nudo anche una realtà scomoda ma reale all’interno della Curia romana. Una struttura clericale e gerarchica sempre pronta a pronunciarsi sulla politica, sull’economia, sulla scienza, ma molto poco convincente sulla fede. Benedetto XVI ha dovuto affrontare le problematiche lasciategli in eredità dal Suo predecessore. Ha provato a superare questi ostacoli scegliendo un profilo teologico, ma gli scandali sugli abusi sessuali dei preti, una Curia che anziché sostenerlo era sempre più impegnata in giochi di potere con quelle “divisioni che deturpano la Chiesa” recentemente denunciate dal Santo Padre e che erano venute alla luce con la vicenda che ha investito uno dei suoi più stretti collaboratori, hanno probabilmente e irreversibilmente impedito un suo disegno riformatore. Vista quindi questa impossibilità, considerato anche il suo stato fisico, dovuto all’età avanzata, ha preferito azzerare tutto, con la sua rinuncia, lasciando al successore questo compito. Questo atto di rinuncia e le motivazioni addotte, hanno rimandato immancabilmente al primo e solo caso di abdicazione formale avvenuto nella storia della Chiesa, quello del 13 dicembre 1294, da parte di Celestino V. Tutti hanno messo in luce questo parallelismo, riportando così in primissima evidenza la grande figura di questo eremita, Papa e Santo, legato indissolubilmente alla storia della nostra Città. Sono ritornati alla mente anche quei gesti irrituali, fatti da Benedetto XVI a questo suo predecessore di oltre sette secoli fa, che oggi sono visti come premonitori di questa sua volontà: il dono del Pallio pontificio, posto quel 28 aprile 2009 dopo pochi giorni dal terribile sisma che aveva sconvolto L’Aquila , sulla teca nella quale sono conservate le spoglie di San Pietro Celestino V nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio; l’omaggio fatto con la grande celebrazione religiosa del 4 luglio 2010 tenutasi a Sulmona a conclusione dell’anno giubilare Celestiniano 2009-2010, indetto per l’ottavo centenario della nascita di Celestino V, e il voluto sorvolo in elicottero dell’eremo di Sant’Onofrio sul Morrone, nel quale Celestino V aveva vissuto, prima della sua nomina al soglio pontificio e dopo, anche se brevemente, la sua rinuncia. Proprio alcuni mesi dopo questi eventi nel novembre 2010, con il volume «Luce del mondo» Benedetto XVI scrisse quello che era un suo pensiero, che a ben vedere stava già probabilmente concretizzandosi, in merito alla rinuncia: «Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in talune circostanze anche il dovere di dimettersi». In queste due rinunce, distanti tra loro quasi otto secoli, ci sono poi singolari coincidenze che a ben vedere, alcune potrebbero non essere del tutto casuali. L’età: quasi 86 anni sia per Celestino V che Benedetto XVI; la comunicazione della rinuncia ai Cardinali: Celestino V, prima di compiere quel passo inedito consultò i maggiori canonisti che gli confermarono che la rinuncia era possibile , ma andava fatta «davanti ai cardinali»; Benedetto XVI aveva questo precedente cui rifarsi, e così ha fatto durante il Concistoro dei Cardinali. Probabilmente non è casuale anche il fatto che l’annuncio sia stato fatto in latino, come a richiamarsi a quel precedente lontano. Le motivazioni poi sono quasi le stesse per quanto concerne l’età e la debolezza del corpo; Celestino V indica « ..la debolezza del mio corpo» e ancora «… abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato»; Benedetto XVI afferma di essere «pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte ad esercitare in modo adeguato il ministero petrino», e quindi compie «questo atto con piena libertà». La convocazione del conclave: Celestino V al termine dell’atto di rinuncia scrive: «dando fin da questo momento al Sacro Collegio la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un Pastore, la Chiesa universale»; Papa Benedetto XVI: «e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice». Credo quindi che Benedetto XVI avesse ben presente questo lontano precedente a cui rifarsi, precedente poi spiritualmente sicuro, in quanto Celestino V era stato dichiarato Santo dalla Chiesa e, ulteriore ma significativa, a mio modo di vedere, circostanza, in quest’anno ne ricorre proprio il settimo centenario della canonizzazione. Da fervente, ultratrentennale, seguace Celestiniano, mi sia permesso di fare ulteriori considerazioni. Finalmente, con questo atto di Benedetto XVI, viene fatta «giustizia» per quella damnatio memoriae che per sette secoli e fino a oggi aveva perseguitato San Pietro Celestino V, negli ambienti ecclesiastici anche Vaticani, per quella rinuncia, cancellando nel contempo in modo definitivo dalla storia «la viltade» di Dante. Se per Benedetto XVI la rinuncia è un atto di coraggio, che merita rispetto e dimostra il suo profondo amore per la Chiesa, non potrà essere più additata come viltà quella fatta da San Pietro Celestino V.
*Presidente Centro Studi
Celestiniani