25 anni senza Falcone: così il Csm ha ridato voce al grande magistrato
L'intervento del vice presidente del Csm su Giovanni Falcone, ucciso a Capaci il 23 maggio 1992 assieme alla moglie, Francesca Morvillo, e a tre uomini, addetti alla sua tutela
Giovanni Falcone fu ucciso a Capaci, in provincia di Palermo, alle ore 17.56 del 23 maggio 1992, assieme alla moglie, Francesca Morvillo, anch’ella magistrato e a tre uomini, addetti alla sua tutela, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Il Consiglio non pretende di offrire una ricostruzione o spiegazione storica degli avvenimenti di quegli anni, ma semplicemente - in questa particolare ricorrenza - pone a nudo il vissuto consiliare, proprio come lo si ritrova nei fascicoli in archivio.
Un’iniziativa, quindi, che si muove nell’idea della trasparenza e conoscibilità degli atti offerti in lettura, insieme alla voce ed alla testimonianza dei protagonisti dell’epoca.
La realtà documentale, fotografata nella sua originaria consistenza cartolare, viene così restituita scarna e diretta, netta ed integra, come ciascuno potrà personalmente valutarla. Solo così, senza enfasi, il ricordo si rende rievocazione vera ed autentica.
In particolare, il lettore sarà in grado di intendere direttamente le parole di Giovanni Falcone, scritte nelle sue lettere o pronunciate nelle sue lunghe audizioni, proprio le occasioni in cui Egli stesso si sentiva “messo nelle condizioni di libertà per poter dire quello che penso”.
Il ricordo vale, certo, a commemorare ma, insieme, a tentare di raccogliere frutti dell’esperienza storica di quegli anni, vissuti assieme dal magistrato, dal Csm e dalle Istituzioni, un’esperienza memorabile, che ha segnato la storia repubblicana.
Una delle aree che restava ad oggi non sufficientemente esplorata della storia di Giovanni Falcone, almeno nelle forme di una conoscenza autentica delle vicende, era proprio il suo rapporto con l’Organo di governo autonomo, tema che, richiedeva, dunque, di essere integralmente disvelato, in tutta la varietà di toni e contenuti che lo caratterizza.
Si parla dei contrasti all’interno del pool antimafia di Palermo, degli esposti ricevuti per presunte anomalie nelle attività istruttorie, delle intuizioni avanguardistiche sulle strategie antimafia e di altro ancora. Il clima è spesso teso, talora Falcone mette in difficoltà i suoi interlocutori consiliari (“...gli hai fatto saltare i nervi...”), e, alla volte, viene, a propria volta, duramente accolto (“io non sono abituato ad essere trattato in questa maniera... anch’io ho una dignità da difendere”), ricevendo, subito, adeguate scuse; ma, Giovanni Falcone non manca mai di attestare, in ogni occasione, “il rispetto nei confronti del Consiglio e la sensibilità che questo Consiglio ha dimostrato”, rilevando di “non essersi mai sentito solo”.
Oltre a ridare voce a Giovanni Falcone, come emergente dalle sue lunghe audizioni, la documentazione dimostra che la relazione tra Falcone ed il Csm si polarizzi intorno ad alcune questioni nodali (il conferimento degli uffici direttivi, l’organizzazione del lavoro giudiziario e l’indipendenza dei magistrati, il collocamento fuori ruolo), che continuano a costituire i temi essenziali e difficili del governo autonomo.
La sua storia individuale diviene, per questa via, il paradigma di un assetto generale, rispetto al quale è necessario chiedersi, in questi ultimi 25 anni, quali passi avanti siano stati eventualmente compiuti e se il contributo di Falcone abbia avuto frutti nella vita consiliare. Interrogativi questi che sembrano riecheggiare nella sua celebre frase: “gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe degli altri uomini”.
La diretta consultazione dei documenti consente, inoltre, di risalire al reale sviluppo motivazionale delle delibere, facendosi così tesoro dell’esperienza di quegli anni, quale che ne sarà la valutazione finale di ciascun lettore.
Su questa linea di riflessione, la scelta di apertura all’esterno degli archivi, inserita entro una direttrice ordinamentale più ampia, che questa consiliatura sta fortemente sostenendo, improntata alla trasparenza, conoscibilità e verificabilità dei percorsi amministrativi e delle logiche decisionali seguite, intende valorizzare l’eredità di Falcone, quale personalità così altamente rappresentativa, interrogando lo stesso Organo di governo autonomo sui modi del proprio agire.
Il Csm adempie, infatti, alle proprie prerogative costituzionali, di garanzia dei valori fondanti della giurisdizione, in quanto beni appartenenti alla generalità dei cittadini e, dunque, contribuisce alla possibilità di comprensione e condivisione, anche storica, della sua identità e delle sue funzioni.
La verità del rapporto tra Giovanni Falcone ed il Csm, messa finalmente in chiaro, resterà per sempre ad esprimere, nei voti dell’intero Organo consiliare, un durevole ed autentico segno di riconoscenza, accompagnato da una precisa assunzione d’impegno, in quanto - richiamando le evocative parole del presidente, Sergio Mattarella – “l’impegno è strettamente legato alla memoria. Memoria e impegno interagiscono: sono termini che indicano continuità”.
*Vice presidente del Csm
Il Consiglio non pretende di offrire una ricostruzione o spiegazione storica degli avvenimenti di quegli anni, ma semplicemente - in questa particolare ricorrenza - pone a nudo il vissuto consiliare, proprio come lo si ritrova nei fascicoli in archivio.
Un’iniziativa, quindi, che si muove nell’idea della trasparenza e conoscibilità degli atti offerti in lettura, insieme alla voce ed alla testimonianza dei protagonisti dell’epoca.
La realtà documentale, fotografata nella sua originaria consistenza cartolare, viene così restituita scarna e diretta, netta ed integra, come ciascuno potrà personalmente valutarla. Solo così, senza enfasi, il ricordo si rende rievocazione vera ed autentica.
In particolare, il lettore sarà in grado di intendere direttamente le parole di Giovanni Falcone, scritte nelle sue lettere o pronunciate nelle sue lunghe audizioni, proprio le occasioni in cui Egli stesso si sentiva “messo nelle condizioni di libertà per poter dire quello che penso”.
Il ricordo vale, certo, a commemorare ma, insieme, a tentare di raccogliere frutti dell’esperienza storica di quegli anni, vissuti assieme dal magistrato, dal Csm e dalle Istituzioni, un’esperienza memorabile, che ha segnato la storia repubblicana.
Una delle aree che restava ad oggi non sufficientemente esplorata della storia di Giovanni Falcone, almeno nelle forme di una conoscenza autentica delle vicende, era proprio il suo rapporto con l’Organo di governo autonomo, tema che, richiedeva, dunque, di essere integralmente disvelato, in tutta la varietà di toni e contenuti che lo caratterizza.
Si parla dei contrasti all’interno del pool antimafia di Palermo, degli esposti ricevuti per presunte anomalie nelle attività istruttorie, delle intuizioni avanguardistiche sulle strategie antimafia e di altro ancora. Il clima è spesso teso, talora Falcone mette in difficoltà i suoi interlocutori consiliari (“...gli hai fatto saltare i nervi...”), e, alla volte, viene, a propria volta, duramente accolto (“io non sono abituato ad essere trattato in questa maniera... anch’io ho una dignità da difendere”), ricevendo, subito, adeguate scuse; ma, Giovanni Falcone non manca mai di attestare, in ogni occasione, “il rispetto nei confronti del Consiglio e la sensibilità che questo Consiglio ha dimostrato”, rilevando di “non essersi mai sentito solo”.
Oltre a ridare voce a Giovanni Falcone, come emergente dalle sue lunghe audizioni, la documentazione dimostra che la relazione tra Falcone ed il Csm si polarizzi intorno ad alcune questioni nodali (il conferimento degli uffici direttivi, l’organizzazione del lavoro giudiziario e l’indipendenza dei magistrati, il collocamento fuori ruolo), che continuano a costituire i temi essenziali e difficili del governo autonomo.
La sua storia individuale diviene, per questa via, il paradigma di un assetto generale, rispetto al quale è necessario chiedersi, in questi ultimi 25 anni, quali passi avanti siano stati eventualmente compiuti e se il contributo di Falcone abbia avuto frutti nella vita consiliare. Interrogativi questi che sembrano riecheggiare nella sua celebre frase: “gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe degli altri uomini”.
La diretta consultazione dei documenti consente, inoltre, di risalire al reale sviluppo motivazionale delle delibere, facendosi così tesoro dell’esperienza di quegli anni, quale che ne sarà la valutazione finale di ciascun lettore.
Su questa linea di riflessione, la scelta di apertura all’esterno degli archivi, inserita entro una direttrice ordinamentale più ampia, che questa consiliatura sta fortemente sostenendo, improntata alla trasparenza, conoscibilità e verificabilità dei percorsi amministrativi e delle logiche decisionali seguite, intende valorizzare l’eredità di Falcone, quale personalità così altamente rappresentativa, interrogando lo stesso Organo di governo autonomo sui modi del proprio agire.
Il Csm adempie, infatti, alle proprie prerogative costituzionali, di garanzia dei valori fondanti della giurisdizione, in quanto beni appartenenti alla generalità dei cittadini e, dunque, contribuisce alla possibilità di comprensione e condivisione, anche storica, della sua identità e delle sue funzioni.
La verità del rapporto tra Giovanni Falcone ed il Csm, messa finalmente in chiaro, resterà per sempre ad esprimere, nei voti dell’intero Organo consiliare, un durevole ed autentico segno di riconoscenza, accompagnato da una precisa assunzione d’impegno, in quanto - richiamando le evocative parole del presidente, Sergio Mattarella – “l’impegno è strettamente legato alla memoria. Memoria e impegno interagiscono: sono termini che indicano continuità”.
*Vice presidente del Csm