A Pescara la storia di Leonardo, morto per colpa dei bulli. I genitori: “Ora pene certe”
La madre: “Serve una legge, se le cose non cambiano succederà ancora”. E il papà si appella alla scuola: “Basta ipocrisie, il problema esiste”
PESCARA. «Io credo nella giustizia». Victorya Ramanenka è la mamma di Leonardo Calcina, il ragazzo di 15 anni che lo scorso 13 ottobre, esasperato dai bulli, si è ucciso a Montignano di Senigallia con la pistola del papà vigile urbano. E con questa premessa, «io credo nella giustizia» (è stato aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio), Victorya e Francesco Calcina, genitori di Leonardo, saranno domani a Pescara, ospiti del convegno sul bullismo organizzato da “Cammino”, la Camera nazionale di avvocati per i minori e le famiglie.
«Lo facciamo per lui», dice il papà che da 15 anni coordina gli incontri della polizia locale nelle scuole, «per impegnare ancora una volta le coscienze di ognuno»: dei politici a cui chiedono una legge antibullismo; della scuola che dovrebbe introdurre una materia finalizzata a conoscere le emozioni e il confronto; delle famiglie e dei ragazzi affinché non rimangano più in silenzio. «Quello che è successo a Leo non dove succedere più», ribadisce la mamma. «Mio figlio è il figlio di tutti. Se le cose non cambiano, nella mia condizione si potrebbe trovare qualsiasi genitore»
A novembre, accompagnati dall’avvocato Pia Perricci, siete andati dal ministro Valditara. Cosa avete chiesto?
La mamma: «Una legge che dia pene certe ai responsabili di episodi di bullismo. Non importa che età abbiano. I ragazzi devono capire che non possono dire qualsiasi cosa, vale per gli adulti e vale per loro. Perché la parola pesa più di un pugno. La parola rimane nella testa, è difficile da digerire. Valditara si è impegnato a coinvolgere in questo anche il ministro della Giustizia».
Che cosa è emerso dalle indagini? Si parla di tre bulli, due ragazzi e una ragazza.
Madre: «L’indagine va avanti, in Italia le cose vanno per le lunghe e lo sappiamo, ma spero che i colpevoli saranno puniti. Decisivo sarà il telefonino di Leo».
Padre: «È un Iphone 15, l’avevamo preso l’estate scorsa, un telefono purtroppo tra i più sicuri in assoluto, difficile da aprire per vederne i contenuti. È stato inviato in un centro specializzato in Germania. Qualsiasi cosa verrà fuori sarà un dolore».
Perché?
Padre: «Dal telefono potremo vedere se c’è stato, e in che misura, l’intervento di terzi rispetto a quanto accaduto».
Mamma: «Non sono ancora uscite le cose più gravi, dal telefono capiremo cosa è successo realmente. Sembra che nella scuola entrassero altri due ragazzi che non erano dell’istituto».
Leo era arrivato a settembre in quella scuola, cosa voleva fare da grande?
Madre: «Aveva fatto il primo anno in un istituto di informatica, ragioneria, ma era già bravissimo con i computer, si faceva i programmi dei giochi da solo, aveva voluto cambiare perché il suo obiettivo era la divisa, voleva fare i concorsi. Quella scuola, più semplice, gli avrebbe lasciato il tempo di portare avanti i suoi progetti».
Padre: «Leo era uno sportivo, e quell’istituto alberghiero offriva questo nuovo indirizzo “sportivo e del benessere” con cui la scuola professionale apriva un nuovo percorso tecnico anche per cambiare un po’ la sua nomea e le sue frequentazioni. Ci avevo creduto anche io. Poi abbiamo scoperto che nella classe di Leonardo c’erano 12 ragazzi bocciati. Lui era timido, educato, un principe dentro casa. Non era pronto per quell’ambiente».
Quand’è che ha iniziato a manifestare i primi disagi?
Padre: «All’inizio non ha parlato, si è visto solo che non si trovava, pensavo che fosse una cosa risolvibile magari con la scuola stessa, non è che pensi subito di rivolgerti ai carabinieri. È successo tutto nelle ultime due settimane, quando ha parlato un po’ con me, un po’ con la mamma, abbiamo ricostruito che c’erano dei problemi. Ma oggi il sospetto è che non abbia raccontato tutto. Ogni ragazzino ha le sue sensibilità, Leonardo non si è sentito di raccontare tante cose».
Madre: «Aveva iniziato a dire che in classe c’era confusione, che i professori non intervenivano, che le lezioni erano noiose, uno schiamazzo continuo. Poi ha parlato con il coordinatore della classe, chiedendo come poter lasciare la scuola. Mi scrisse un messaggio da scuola, quella mattina, dicendo che aveva parlato con un prof. Il professore da quanto abbiamo saputo poi, gli ha risposto che c’era l’obbligo scolastico. Ecco, dico, qualsiasi professore che riceve una domanda da un bambino di 15 anni appena conosciuto deve chiamare i genitori, mi deve mettere al corrente. Solo così io posso intervenire, posso parlare subito con mio figlio. I nostri figli passano in classe tantissimo tempo, il mio faceva anche i rientri pomeridiani, se la scuola non mi dà un riscontro quando c’è qualcosa che non va, non mi permette di intervenire. Nel mio caso c’è stato un silenzio totale. Anche dopo».
Cosa deve imparare il mondo della scuola da Leo?
«Che non c’è solo la lezione o il programma da finire. I ragazzi vanno guardati negli occhi. E non si può permettere che dei ragazzini vengano derisi e presi di mira da alcuni, senza intervenire».
Dai racconti è emerso che era stato preso di mira. Lo colpivano sui genitali, lo prendevano in giro per il cognome che finisce con la A, insulti irripetibili. Che vi aveva riferito lui?
Madre: «Mi ha detto che lo prendevano in giro continuamente, che voleva cambiare scuola. Eravamo andati a farci un giro in macchina, gli ho detto “c’è qualcosa sotto, bisogna che mi racconti”. Ma lui non riusciva a dirmi le parole esatte con cui quei ragazzi si rivolgevano a lui, “mi vergogno” mi disse, “non ce la faccio a ripetertele”. L’ho tranquillizzato, gli dissi che dopo una settimana ci sarebbero state le elezioni dei rappresentanti, che mi sarei fatta eleggere per tenere meglio la situazione sotto controllo, che il papà con la divisa sarebbe andato a fare educazione stradale in quella scuola. Ma se avessi saputo, se qualche professore mi avesse chiamato per dirmi come si comportavano quei ragazzi con mio figlio, sarei andata dai carabinieri subito».
Com’era Leonardo?
«Gli piaceva la musica di Michael Jackson, adorava le scarpe Jordan. Era molto sportivo, ci piaceva camminare, ha fatto calcio, nuoto, judo».
Domani sarete a Pescara.
Madre: «Vado ovunque mi chiamino, per sollecitare la legge sul bullismo che porti il nome di mio figlio e per avere un confronto con gli addetti ai lavori, per capire come andare avanti e per coinvolgere più persone possibile. Andrò avanti fino alla fine, non mi fermo, lo devo a Leonardo. Spero nella legge e spero nella verità, il prima possibile».
Padre: «Ci siamo per rivolgerci alla coscienza di tutti. Il bullismo esiste, anche se sembra di secondaria importanza perché spesso nelle scuole contano più i budget, i progetti, le iscrizioni. Ma prima dev’esserci l’educazione civica, bisogna insegnare ai ragazzi il rispetto degli altri e a comportarsi degnamente. Invece si continua a far finta di niente, a essere ipocriti, a dire che il problema non esiste».
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