PESCARA
Banca nel mirino di quattro hacker, così incassavano gli assegni falsi
Scoperta una banda di napoletani: avevano manomesso la centralina per aggirare i controlli. Con un ponte delle comunicazioni, avrebbero risposto in prima persona alle chiamate dell’istituto
PESCARA. In quattro, tutti napoletani, rischiano il processo per aver interrotto o impedito la comunicazione e/o conversazione telefonica tra terzi e la Banca di Credito Cooperativo di Pianella e Castiglione Messere Raimondo: articolo 617 del codice penale. Un reato piuttosto insolito, ma commesso da chi sapeva benissimo come muoversi in casi del genere e soprattutto lo aveva già fatto altre volte come risulterebbe dalle indagini dei carabinieri.
HACKER DEI TELEFONI. Il fine di questa sorta di hackeraggio, ma non dei computer, bensì delle linee telefoniche utilizzate dall’istituto di credito (sede di Pianella), parte offesa del procedimento, come scrive il pm Giuliana Rana nella sua richiesta di rinvio a giudizio a carico di Vittorio Spadaccini, Cosimo Loffredo, Renato Altamura e Vincenzo Cappabianca, era quello di «impedire ai dipendenti dell’istituto di dare reali notizie sulla copertura di un titolo da loro dato in pagamento a terzi». E come avevano organizzato il tutto? «Si allacciavano alla linea telefonica manomettendo i cavi posti all’interno della cabina ripartilinea della Tim sita sulla pubblica via e collegandovi un telefono cordless si sostituivano alla banca».
CITTADINA CURIOSA. È vero che i militari stavano già seguendo una pista in quanto erano giunte delle segnalazioni di truffe subite da varie persone che, dopo aver posto in vendita su internet merce preziosa (soprattutto orologi Rolex), venivano pagati con assegni circolari che, posti all’incasso, venivano dichiarati impagabili poiché falsi, ma senza l’aiuto di una cittadina avrebbero forse impiegato molto più tempo per individuare i possibili responsabili. La signora aveva infatti notato un’autovettura ferma in paese davanti alla colonnina Tim con due uomini e si era anche annotata il numero di targa. Appena i militari arrivarono sul posto, videro uno dei due che si allontanava, mentre l’altro era seduto in auto con un cordless in mano e una borsa dalla quale uscivano dei fili che si collegavano alla colonnina Tim. Non ci volle molto per capire cosa stessero combinando. Questa volta, però, non era merce preziosa posta in vendita, ma un titolo da 26mila euro che era stato consegnato a garanzia di un’operazione commerciale. E, per evitare che si scoprisse subito che era fasullo, avevano manomesso l’impianto telefonico della banca così, quando il funzionario riceveva la telefonata per accertarsi della validità dell’assegno, avrebbe risposto uno di loro, confermando la bontà di quell’assegno che era stato emesso a nome della Banca mentre invece si trattava di un titolo falso (la Banca, peraltro, aveva più volte segnalato alla Tim una serie di inspiegabili interruzioni della linea telefonica).
GLI ARRESTI. I due trovati vicino all’autovettura posta a ridosso della colonnina Tim vicino alla Banca vennero arrestati e soltanto dopo i militari risalirono all'identità degli altri due “compari”, uno dei quali già noto agli investigatori, sempre per fatti analoghi.
I NUMERI SUI TELEFONINIi. Per arrivare alla identificazione dei due complici, i militari usarono le rubriche dei telefonici sequestrati a Spadaccini e Loffredo e trovarono le chiamate. Insomma, solo per la provvidenziale curiosità di una cittadina, questo “colpo” da 26mila euro saltò: si trattava di un assegno con il quale era stato pagato il materiale posto in vendita da un malcapitato che stava per perdere tutto; soldi e merce. Adesso, i primi di novembre il gup dovrà decidere se rinviare a processo i quattro napoletani.