Calcetto in rosa infinita passione

Montesilvano capitale del calcio a 5 femminile con 4 squadre Commesse, studentesse e operaie: noi, più forti dei maschi

MONTESILVANO. Lisa Sacco è una studentessa di 17 anni e gioca in attacco: «Si dice pivot», sottolinea, «e comunque mia mamma ci ha provato in tutti i modi a farmi smettere. Con la danza, con il basket, con il pattinaggio, ma non ci è riuscita e adesso fa il tifo per me. L’amore per il calcio l’ho ereditato da mio padre e sono pazza di David Beckham». Emanuela Maceroni per lavoro guida l’ambulanza della Misericordia e per passione inventa schemi, corre e tira: «Il calcio per me è puro divertimento», racconta lei, allenatore e giocatore. Jacqueline Frascarelli ha tre figli, Roberta D’Olimpio ha un bambino di tre anni che dice gol ogni volta che la vede in campo. Lucia Di Nardo lavora nel reparto di Neurochirurgia dell’ospedale di Pescara, uno dei più duri, e dopo il lavoro, a 41 anni, trova ancora la forza di fare il portiere: «Ho sei fratelli, ditemi come facevo a non amare il calcio?», sorride. Sono le storie del calcetto in rosa. Sì perché, a Montesilvano, il calcio a 5 femminile fa boom. Un fenomeno di 4 squadre, cioè più di 50 ragazze, a partire dalle stelle della serie A del Città di Montesilvano e, in serie C, Atletico Montesilvano, Centro storico e Virtus Colonnetta. Studentesse, commesse, operaie: sono tutte pazze per il futsal, così si chiama la versione moderna del calcetto.

«Noi, professioniste». Le ragazze del Montesilvano (foto G. Lattanzio) si allenano tutti i giorni al Palaroma: sono le professioniste del calcio a 5 cittadino e custodiscono anche due scudetti e due supercoppe. Mariangela D’Ambrosio, 25 anni, «tifosissima della Juventus», è il capitano: «Gioco a calcetto da 12 anni. Ho cominciato per caso: facevo il corso da fisioterapista e i medici e gli amici fisioterapisti si sfidavano a calcetto. Una volta mi hanno chiesto se volevo giocare, l’ho fatto e adesso sono centrale difensiva in serie A, insomma una che picchia». Giorgia Benetti, 26 anni, è una delle “straniere” del Montesilvano: è arrivata da Vicenza. «Ho iniziato a 9 anni per colpa di mio fratello, poi, ho continuato a giocare con i maschi», racconta, «e alla fine, sono diventata più forte di loro». A calcetto, di un portiere si dice che valga quanto mezza squadra e Samira Ghanfili, 19 anni, è una di quelle che lo sa bene: «Ho cominciato a 13 anni grazie a un torneo scolastico», dice, «siccome mancava sempre il portiere ed ero l’unica che non aveva paura del pallone, l’ho fatto io. I miei? Erano contenti. Vincere lo scudetto? Un sogno che si è avverato». L’idolo di Samira è Gianluigi Buffon ma il modello è Stefano Mammarella, super-portiere del Montesilvano, da 4 anni eletto migliore del mondo: «Magari parare come lui». Consuelo D’Intino ricorda: «Mi piaceva giocare e lo facevo a scuola. Poi, un allenatore mi chiese: “Perché non vieni a giocare con noi?”. E ho iniziato. Ora, giochiamo da tanto insieme e ci troviamo a occhi chiusi». Federica Colatriani gioca con il Montesilvano da due stagioni ma resta una bandiera del Centro storico: «Le sirene della serie A mi hanno abbagliata», dice.

Gemelle del gol. Alessia Guidotti ed Ersilia D’Incecco le chiamano le gemelle del gol: «Giocavamo insieme sotto casa», raccontano, «poi, lì vicino c’era un campo e una squadra che si allenava e così ci abbiamo provato». Alessia Catrambone è un’altra “straniera” del Montesilvano, fa il pivot, studia Storia e filosofia e sogna di diventare un’insegnante: «Sto preparando la tesi di laurea sul ruolo domestico della donne», spiega la ragazza calabrese. Tutto il contrario di quello che fa lei, bomber dello scorso campionato: quest’anno ha già segnato 21 gol.

Da casa al campo. «Giocavo sotto casa e la porta era il cancello», racconta Raffaella Vissani, laterale dell’Atletico Montesilvano, «poi, una mia amica che faceva il portiere mi ha chiesto di giocare ed è cominciata questa avventura. Amo lo spirito di squadra». Due allenamenti a settimana e domenica la partita: ma non è che quella del calcetto è una scusa per non cucinare? «Le mie crepes alla Nutella sono famose», scherza Vissani, una che con un cognome così deve cucinare quasi per forza. Lucia Di Nardo ha 41 anni (Atletico Montesilvano): «Se mi sento la mamma di queste ragazze? Neanche per idea, io gioco perché mi piace», risponde Di Nardo, originaria di Barisciano, «lì o giochi a nascondino o a pallone e, visto che ho sei fratelli, avevo poca scelta». Claudia Piattelli, capitano dell’Atletico Montesilvano, lavora in un panificio: «Perché mi piace il calcio? Una passione non ha un perché». Sara Travaglini, un corso da estetista alle spalle, ha fatto già 13 gol, una bomber di razza: «Segnare significa scaricarsi da tutto quello che hai dentro. Il mio idolo? Alessandro Del Piero».

Lavoro e calcetto. Flora Fracchiolla, del Centro storico, lavora in un vivaio e ha 42 anni: «Gioco a pallone da 30 anni ormai, la passione mi scorre nelle vene», racconta lei, pugliese, arrivata in Abruzzo proprio grazie al calcio.

Mamme e schemi. Roberta D’Olimpio (Centro storico) fa la mamma ma non rinuncia al calcetto: «Mio figlio ha 3 anni e quando lo lascio per andare a giocare non è contento ma la mia è una passione forte. Comunque, quando mi vede dice sempre gol». Anche Jacqueline Frascarelli, capitano della Virtus Colonnetta, lascia a casa i tre figli di 4, 8 e 9 anni, per andare a giocare a calcetto: «Faccio i turni con mio marito William Castellano, dirigente della squadra e sono contenti anche loro». Emanuela Maceroni corre sulla fascia, tocca la palla d’esterno e cambia passo quando sente che può arrivare al tiro: è lei, giocatore e allenatore, uno degli assi della Virtus Colonnetta. «Il nostro è puro divertimento», racconta lei, originaria di Avezzano, che guida l’ambulanza e non deve avere paura di niente, «siamo un gruppo di amiche e dopo la partita e gli allenamenti usciamo spesso insieme». Lidia Mancinelli, 36 anni e un sorriso contagioso: «Mi è sempre piaciuto il calcio ma i miei dicevano che mi sarebbero venute le gambe storte. Alla fine, quando avevo 30 anni ho cominciato a giocare davvero e, ora, mi diverto troppo».

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