Caramanico, scomparso da 6 mesi. La figlia: "Riprendete le ricerche"
Il pensionato non rientrò in hotel dopo un’escursione nella Valle dell’Orfento. Centinaia di soccorritori in azione per mesi, poi il silenzio. Rinnovato l'appello
PESCARA. «Riprendete a cercare il mio papà». Francesca Fattiboni, insieme alla famiglia, non vorrebbe che si spegnessero i riflettori sulla vicenda del padre Carlo Rodrigo Fattiboni scomparso il 3 settembre scorso durante un’escursione tra i boschi della Valle dell’Orfento di Caramanico. Dal Milanese dove vive, lancia l’appello che arriva fino al paese della Val Pescara dove suo padre si trovava in vacanza l’estate scorsa e dove è scomparso nel nulla, sei mesi fa, senza mai più dare notizie di sé. «Ci auguriamo che col disgelo, si riprendano le ricerche. I forestali non hanno mai smesso, il prefetto ci ha mostrato la sua disponibilità, siamo fiduciosi» conclude.
Non hanno mai smesso di sperare e di cercare neppure gli amici di Fattiboni, Franco Zigrossi e Davide Berrettini, titolare della pensione “Vincenzella” dove il pensionato di Brugherio, originario di Pescara, ha trascorso le vacanze con la famiglia negli ultimi 9 anni.
«Vorremmo», dicono, «che Carlo non fosse dimenticato, che riprendessero le ricerche. Invece nessuno più lo sta cercando. La sua scomparsa ci ha lasciato un grande vuoto, è come se si fosse volatilizzato». Le ricerche dell’uomo, ex dirigente di una cartiera, sono ferme dai primi di dicembre. Per tre mesi, dal giorno della scomparsa, lo hanno cercato un centinaio di soccorritori, provenienti anche da altre regioni d’Italia, coordinati da prefettura e vigili del fuoco. E, a febbraio, gli speleologi del soccorso alpino hanno tenuto una esercitazione nei luoghi della sparizione «per non dimenticare».
Fra i tanti soccorritori che hanno partecipato alle ricerche, c’erano anche gli speleologi del soccorso alpino nazionale. Il neo delegato, Paolo Di Quinzio, era tra i volontari che hanno partecipato alle ricerche: «Alla scomparsa di una persona non ci si abitua mai, ogni intervento di soccorso ci lascia i segni nell’anima. Lo abbiamo cercato anche nei pozzi profondi 15 metri e nelle cisterne abbandonate. Per noi è ancora un caso aperto, tanto che l’ultima esercitazione l’abbiamo fatta proprio nei luoghi della scomparsa. Un modo per continuare l’opera di perlustrazione e per non dimenticare». (c.cor.)