Commercio in crisi sei negozi del centro costretti a chiudere
Penne, i proprietari hanno dovuto licenziare i dipendenti E a Collecorvino sono in difficoltà gli imprenditori edili
PENNE. Commercianti e piccoli imprenditori sempre più in difficoltà, costretti a chiudere bottega e a licenziare i propri dipendenti. È questa la difficile situazione in alcuni comuni della zona vestina. A Penne sei realtà commerciali del centro storico, negozi d’abbigliamento, oreficerie, cartolerie, si sono arrese alle difficoltà del momento e hanno abbassato le serrande o hanno trasferito le proprie attività altrove. La situazione è critica anche per le piccole realtà imprenditoriali legate all'edilizia che non riescono ad arrivare a fine mese. Enrico Minchilli, piccolo imprenditore edile di Collecorvino ed esponente della segreteria regionale di Rifondazione comunista, ha raccontato la sua storia imprenditoriale ed evidenziato alcune criticità amministrative che ostacolano i lavoratori e i datori di lavoro. «Commercio e piccola imprenditoria sono in crisi, vicine al collasso. Le istituzioni, però, non sembrano interessate a trovare le giuste soluzioni per agevolare il loro lavoro. A gennaio 2012 ho iniziato i lavori di messa in sicurezza di un fabbricato tra quelli danneggiati nel post terremoto del 2009. Ho dovuto anticipare ben 153 mila euro per i lavori e portarli a conclusione entro agosto, ma ad oggi non ho ancora ricevuto un centesimo di quanto mi spetta. In questo modo, le piccole realtà non possono andare avanti. Gli organismi privati come Edil Casa e Cassa Edile, che si reggono grazie ai nostri versamenti (tredicesima e ferie) tengono in ostaggio noi imprenditori con il Durc (Documento di regolarità contributiva) che, invece, potrebbe essere benissimo rilasciato dall’Inps. Edil Cassa e Cassa Edile sono un carrozzone al quale si potrebbe rinunciare. Anche le attività commerciali soffrono le imposte sempre più asfissianti degli enti: dall’Imu alla spazzatura, dalla luce al gas. Tutte le attività imprenditoriali, comunque, pagano l’eccessiva contribuzione fiscale che di fatto supera gli stipendi dati agli operai. Per questi motivi chiedo al mio partito, nonostante si sia già dotato di strumenti importanti per uscire dalla crisi, che non possono avere un effetto immediato, di diventare un punto di riferimento per far sì che le istituzioni, da quelle locali a quelle più in alto, cerchino di mettere fine ai disagi e alle problematiche dei piccoli commercianti e imprenditori». Secondo l’esponente di sinistra, la strada più utile per far sentire le proprie ragioni in tal senso è quella forte dello sciopero. «Propongo lo sciopero contributivo fiscale affinché i soldi siano messi a disposizione del lavoro reale e non delle speculazioni finanziarie. A breve, organizzeremo delle assemblee di lotta per organizzare al meglio lo sciopero contributivo. Dietro una piccola impresa, ci sono delle famiglie e dei bimbi da non far soffrire».
Francesco Bellante
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