PESCARA
Concessioni balneari all’asta. Le imprese pronte ai ricorsi
Confcommercio: gli investimenti sono bloccati, c’è il timore di perdere tutto
PESCARA. È un momento delicatissimo per le imprese balneari. Perché il 31 dicembre 2020 non è poi così lontano. E dopo quella data le concessioni rischiano di essere messe all’asta, per effetto della direttiva Bolkestein, se il governo non interverrà prima con una disciplina del settore. Gli imprenditori della costa pescarese aderenti al Sib Confcommercio non intendono stare a guardare e domenica hanno partecipato alla “Giornata nazionale dei balneari italiani” promossa dal sindacato di categoria per sensibilizzare l’opinione pubblica.
«Abbiamo voluto ricordare ai politici e a chi governa che, nel tempo, sono state fatte delle promesse ai balneatori e ci è stato assicurato che il problema sarebbe stato affrontato. Ma finora non è accaduto», dice Riccardo Padovano, alla guida del sindacato. «Serve una legge per la proroga delle concessioni, così come è avvenuto in Spagna, ad esempio. L’ideale sarebbe ottenere una proroga a 30 anni, per ammortizzare gli investimenti».
A proposito di investimenti, il rischio di perdere l’attività nel 2020 ha «fermato tutto», fa notare Andrea Lancia dallo stabilimento Mila, «perché non ci si azzarda a spendere. Siamo frenati dal pensiero che a breve le concessioni non saranno più nostre. E non manca molto, visto che a fine settembre si chiuderà l’anno e già ci dovremmo preparare a programmare il da farsi per il 2019. Abbiamo sollecitato tutti i governi che si sono succeduti a darci delle certezza e ora c’è molta confusione: non c’è una normativa che ci dica come comportarci mentre prima andava presentata un’istanza in Regione per ottenere la proroga di sei anni. Il timore è che non si faccia in tempo a disciplinare la materia, considerati i tempi dell’Italia. E temiamo che si arrivi all’ultimo minuto, magari il 30 dicembre del 2020, per sapere che ne sarà di noi».
Considerata l’incertezza, i balneatori sono «scoraggiati, spaventati e anche arrabbiati», dice Lancia. «Non dimentichiamo che queste sono attività tramandate di padre in figlio e poi passate ai nipoti. Alcune danno lavoro 365 giorni l’anno, come la mia, garantendo occupazione. Tra le tante battaglie portate avanti, forse questa è la più complicata. Ci sentiamo impotenti e non c’è nessuno che possa garantirci qualcosa».
L’ipotesi dell’asta delle concessioni fa rabbrividire perché sono avvantaggiate «le grandi multinazionali», dice il balneatore. Non accetta il concetto di asta Pierluigi Tucci, dallo stabilimento Il Moro. Una vendita all’incanto «si fa per le aziende fallite non per quelle sane come le nostre. E la concorrenza viene generata dal mercato, non dalle leggi», commenta battagliero. È già pronto a «fare ricorso e lo Stato ci dovrà risarcire» dice ancora. In un’azienda ruota tutto attorno alla stabilità, fa notare. «Se non ci fosse stata la Bolkestein, avrei già fatto degli investimenti che mi avrebbero consentito di allungare la stagione e di creare nuovi posti di lavoro. I nostri investimenti vengono programmati di anno in anno per offrire un servizio migliore e andare incontro alle esigenze dei clienti: penso ai pulisci spiaggia e agli ombrelloni da rinnovare periodicamente».
Con la Bolkestein «si rischia di penalizzare i servizi, e quindi i clienti. E se qualcuno crede di favorire la logica del ricambio con le aste, pagheranno le conseguenze sempre i clienti. Ma io non mollo così, dopo aver lavorato una vita sullo stabilimento. E i clienti sono dalla nostra parte, pronti anche a bloccare le strade».
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