Dalla richiesta di 151 anni per trenta imputati all’Appello bis solo per 10: l’evoluzione del processo Rigopiano
Tre presidenti di Regione archiviati prima dell’inizio del processo16 assoluzioni della Cassazione e i reati colposi verso la prescrizione
PESCARA. Il processo Rigopiano era partito con 151 anni di condanne richieste in primo grado per 30 imputati. E prima ancora di cominciare (a luglio 2019), erano state archiviate 18 posizioni tra cui quelle riguardanti tre presidenti di Regione e alcuni assessori regionali. A dicembre scorso è arrivato in Cassazione con 4 condanne definitive, dieci annullamenti (quattro condanne e 6 assoluzioni) con il nuovo processo d’Appello, e 16 assoluzioni definitive. Oggi, dopo tre gradi di giudizio e dopo il rinvio deciso dai giudici della Cassazione alla Corte d’Appello di Perugia, questo disastro rischia di ridursi ai minimi termini se si esamina il suo percorso giudiziario. La Cassazione ha annullato tutte le condanne ad eccezione di quella inflitta in maniera definitiva all’ex prefetto Francesco Provolo e al suo vice Leonardo Bianco, ma solo per il falso e non anche per il disastro, oltre al gestore Bruno Di Tommaso e al tecnico Giuseppe Gatto relativamente, questi ultimi, a un piccolo abuso edilizio di una tettoia.
Ora il processo che dovrà tenersi a Perugia partirà (forse prima dell’estate) con un punto fermo: la prescrizione per i reati colposi per i quali erano stati condannati i 5 imputati in primo grado e sette degli otto di secondo grado. Si discuteranno soltanto le posizioni dei sei regionali della Protezione civile che la Cassazione ha “ripescato” dopo due assoluzioni. I motivi degli ermellini non sono stati ancora depositati (la Cassazione non ha nessun termine per il deposito dei motivi di sentenza per cui è ipotizzabile che arrivino entro due mesi dalla sentenza romana), per cui per avere un quadro completo bisognerà leggere il perché la Cassazione ha voluto rimettere in primo piano la questione della Carta valanghe e la sua mancata realizzazione.
Ma anche in questo caso, non potendo entrare nel merito, gli ermellini dovranno spiegare anche le posizioni dei sei imputati per i quali proseguirà il cammino giudiziario a Perugia. Nella requisitoria del primo grado che i magistrati hanno in maniera appassionata concluso davanti al gup Gianluca Sarandrea (che giudicò tutti e 30 gli imputati con il rito abbreviato), la procura (procuratore Giuseppe Bellelli, sostituti Anna Benigni e Andrea Papalia) aveva chiesto le condanne per i 30 imputati per un totale di 151 anni di reclusione.
Esito: 5 condanne e 25 assoluzioni, una decisione che quel 23 febbraio 2023 fece esplodere in aula la rabbia dei familiari delle vittime. Vennero condannati il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta (2 anni e 8 mesi) i provinciali Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi ciascuno); e due condanne a 6 mesi per il gestore dell'hotel, Di Tommaso, e per il tecnico Gatto.
La procura quidi sforna un ricorso in appello di 500 pagine dove rimette tutto in gioco: carta valanghe e depistaggio (quello che era contestato soltanto ai prefettizi, tutti assolti). Il giudizio di secondo grado si conclude con una leggera variazione rispetto all'abbreviato pescarese (che regge sostanzialmente anche all’Aquila): le condanne rimangono, ma i giudici della Corte d’Appello ne aggiungono altre tre, di cui una rincuora parzialmente i familiari delle vittime: la condanna dell’ex prefetto Provolo per falso nella convocazione della sala operativa e del centro coordinamento soccorsi (e quindi senza nessun legame con il disastro di cui pure era accusato), insieme al suo vice, Leonardo Bianco e a un funzionario del Comune di Farindola, Enrico Colangeli, che avrebbe condiviso con Lacchetta lo stesso reato (e la stessa pena).
Si arriva così davanti alla Corte di Cassazione che annulla tutte le condanne a eccezione di quella di Provolo (e degli altri tre), rimette la decisione alla Corte d'Appello di Perugia, ma fa un passaggio che rincuora le speranze dei familiari delle vittime: annulla la doppia assoluzione dei regionali della Protezione civile e rinvia la decisione sulla loro posizione, in relazione alla mancata realizzazione della Carta valanghe, ai giudici di Perugia.
Ma i giudici perugini, per valutare quelle sei posizioni che riguardano Carlo Visca, Vincenzo Antenucci, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera, Carlo Giovani e Sabatino Belmaggio, dovranno leggere quello che hanno scritto a riguardo gli ermellini. Sta di fatto che il cronoprogramma al momento è questo. Nel momento in cui i giudici romani depositeranno i motivi della loro decisione (che potrebbe avvenire entro il prossimo febbraio in quanto è una sentenza piuttosto ponderata), contestualmente invieranno il fascicolo ai giudici della Corte d’Appello di Perugia che soltanto dopo questo passaggio potranno fissare la data per replicare il processo di appello. E anche qui si può ipotizzare che questo avvenga prima dell’inizio dell’estate. Ma a quella data, come si è detto, i reati contestati a Lacchetta, Colangeli, D’Incecco e Di Blasio saranno tutti prescritti. Per cui non resterà che valutare il disastro colposo che la procura pescarese ha sempre sostenuto, e che peraltro non è a rischio prescrizione in quanto i termini si raddoppiano e si arriva ai 12 anni, con una prescrizione prevista per il 2029.
Ma al di là del fatto che la decisione di Perugia verrà certamente impugnata di nuovo in Cassazione, quello che resta l’unico grande dilemma di questa tristissima vicenda giudiziaria, riguarda l’imprevedibilità dell’evento, così come avevano sostenuto anche gli esperti nominati dal giudice pescarese Sarandrea. Non si può neppure parlare di una valanga, peraltro violentissima, ma di un “evento complesso”, come sostenuto dagli stessi esperti, composto da condizioni meteo straordinarie, dove si sono registrate 524 scosse di terremoto in 24 ore: un terremoto, quindi, come possibile concausa, una sorta di “tempesta perfetta” che non sarà facile trasformare in condanne.