D’Antuono: “Uno chef non salva vite, cucina e dà gioia al palato”
Parola al cuoco di Nocciano cresciuto alla scuola di Marchesi: «Niente divismo, punto alla sostenibilità, anche economica»
CITTÀ SANT’ANGELO. «In cucina puoi essere il fenomeno che ti pare, sta di fatto che le sale dei ristoranti sono vuote. Il fine dining ha destabilizzato la clientela, la televisione ci ha bombardato con i cuochi divi. Ma non salviamo vite umane, non siamo medici. Più semplicemente cuciniamo, così mi hanno insegnato in Alma, la scuola di Gualtiero Marchesi. Benvenga se poi diamo gioia al palato». Moreno D’Antuono, 44enne abruzzese di Nocciano, è lo chef del Rosarubra Zen di Città Sant’Angelo. Provata esperienza e piedi per terra, uno chef manager, aziendalista, uno che «non si vuole annoiare» e che trova stimoli «quando si parla di futuro». La sua, dice, è «cucina di coscienza», pensata, provata, fatta di materia prima di qualità e tecnica. Una cucina che ricerca la verità e la sostenibilità anche economica e commerciale.
D’Antuono, che significa essere un cuoco coscienzioso?
«Significa consapevolezza, ragionare nell’interesse di tutti. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo fare i conti col territorio in cui viviamo: senza cassa come si pagano gli stipendi del personale? Tanti ristoranti aprono e affidano la cucina a chef giovani ed egocentrici che fanno copia-incolla di un piatto tecnico appreso in cucine di alto rango, magari all’estero, e che poi rivendono a 30, 40, 50 euro, cosa che non è sostenibile soprattutto per il cliente. Considerato che in Abruzzo uno stipendio medio è di 1.100 euro quante volte una famiglia può permettersi di andare al ristorante? Di fatto le trattorie di arrosticini sono sempre strapiene perché permettono di passare la serata senza grosse spese. Andare a cena fuori fa parte della cultura italiana, dobbiamo invogliare il nostro cliente a ritornare prima di 6-8 mesi...».
Come costruisce la sua proposta coscienziosa, accattivante, di sostanza e capace di fare cassa?
«Siamo attenti a non sprecare, sappiamo lavorare quello che serve e teniamo il frigorifero libero. Nel mio Abruzzo gioco facile: è un territorio ricco di prodotti entusiasmanti e in parte ancora da scoprire, come quelli di montagna. Amo il tartufo e i porcini del Ceppo, hanno profumo e texture ineguagliabili, servirli al cliente con un semplice tagliolino all’uovo mi emoziona. Devo ringraziare il mio secondo Danilo Nigro (il 27enne chef pescarese con esperienze nel fine dining internazionale e un periodo sotto la guida di Yoji Tokuyoshi, ex chef di Bottura, ndr) per avermi aperto alla cucina asiatica e a una visione differente della ristorazione: punteremo a unire le culture».
Dove attinge la materia prima?
«Ho i miei fornitori fissi. I funghi porcini ad esempio me li procura il signor Silvio Guardiani che vive qui in zona, li valorizzo in un’insalata di porcini in tre consistenze: maionese, crudi e in gel ottenuto da un brodo fatto con gli scarti, arricchisco il tutto con scampi crudi o altro. Ricerchiamo carne di animali trattati senza chimica, nell’azienda agricola di Rosarubra a Pietranico curiamo l’orto, alleviamo ovini e il pollo Truentum, razza rustica abruzzese, per il pesce spesso vado di persona al banco ittico, cerchiamo sempre la stagionalità e attendiamo le prime produzioni della nostra carciofaia».
La sua precedente esperienza pescarese le ha guadagnato riconoscimenti dalla critica e nelle guide di settore. Con lo “Zen” punterà in alto?
«Più della stella mi interessa vedere il ristorante pieno, i miei ospiti soddisfatti di quello che hanno mangiato e i miei ragazzi prendere cento euro in più sulla paga».
@RIPRODUZIONE RISERVATA