PESCARA
"Dichiarate morta Donatella, ora lo Stato non mi pugnali"
Appello della madre, Tina Grosso, al Tribunale di Chieti. Lunedì la decisione
PESCARA. «Continuerò a cercare i resti di Donatella finché avrò le forze. Così avrebbe voluto anche mio marito Mario. Spero che il tribunale dichiari la morte presunta di mia figlia, così potrò sistemare le sue cose, prima di chiudere gli occhi. Se non dovessi avere questo conforto, per me sarebbe un'altra pugnalata al cuore».
Piange Tina Melita Grosso, 85 anni, madre di Donatella Grosso, la ragazza scomparsa a Pescara nella notte tra il 26 e 27 luglio 1996, e si appella alla “clemenza” dei giudici del Tribunale di Chieti che lunedì dovranno decidere se dichiarare la morte presunta della giovane donna di Viterbo che, prima di eclissarsi nel nulla, viveva in via Monte Velino a Francavilla, dove tutt'ora c'è l’abitazione intestata a lei e dove sono conservati tutti i suoi ricordi.
Tina e Mario Grosso (scomparso il 12 ottobre 2014), entrambi docenti di matematica, hanno cercato la figlia per due decenni. Hanno lottato, sempre insieme, con rabbia e coraggio, contro gli inciampi della giustizia, che ha aperto e archiviato il caso per sei volte in quattro lustri. Contro chi ha voluto approfittare della loro buona fede, soprattutto dopo aver promesso una taglia, arrivata nel tempo fino a 100mila euro, a chi avrebbe trovato Donatella viva o morta. Contro chi «non ha fatto abbastanza» per trovare Donatella, della quale si sono perse le tracce in una calda notte di luglio dopo essere stata accompagnata alla stazione di Pescara dall'ex fidanzato.
Per la giovane donna, laureata in Lingue alla D'Annunzio, carattere gioviale e sociale, la partenza improvvisa dalla stazione ferroviaria per cercare lavoro all'estero. Poi, il silenzio. Un silenzio assordante. Un viaggio senza ritorno.
A casa, i coniugi Grosso, distrutti dal dolore ma combattivi. Nella mente, Tina ha i sussurri della figlia: «Devo dirti una cosa importante, mamma». Che cosa, non si saprà mai. Perché, molto probabilmente, non si saprà mai che fine ha fatto lei. Chi ha visto e chi l'ha vista per l'ultima volta, a quale destinazione si è fermata. Domande senza risposta, dubbi laceranti. Due genitori abbandonati alla più cupa disperazione. Ma forti e determinati nel ricercare la verità.
E «continuerò a cercarla, la verità», sottolinea Tina con voce sommessa e dolcissima, malgrado la sua salute non sia più quella di una volta, «così come con mio marito cercavamo i resti di Donatella per darle sepoltura cristiana e mettere un fiore sulla tomba».
Neppure di questi semplici gesti hanno avuto soddisfazione. Ora la giustizia si rimette in moto per tentare di mettere finalmente la parola fine a una vicenda in chiaroscuro che per oltre venti anni ha restituito solo misteri e silenzi. Lunedì mattina, Tina Grosso, accompagnata dal legale di famiglia Giacomo Frazzitta (lo stesso che ha trattato il caso di Denise Pipitone), sarà a Chieti per ascoltare la sentenza dei giudici del tribunale.
Sì o no alla morte presunta, «l' istituto giuridico di volontaria giurisdizione del diritto italiano con il quale, attraverso una pronuncia del Tribunale, una persona viene ritenuta morta dall'ordinamento, allorché questa si sia allontanata dal luogo del suo ultimo domicilio o dall'ultima residenza e non abbia fatto avere più sue notizie per un periodo di tempo determinato», così testualmente nel linguaggio forense. Solitamente arriva a una decina di anni dalla scomparsa di una persona, ma in questo caso di anni ne sono passati 22. Risale a quattro anni fa, la richiesta di dichiarazione di morte presunta. «Mario e io», rivela Tina, «pensavamo a questa eventualità, ma nello stesso tempo abbiamo sempre continuato a cercare Donatella».
Cuore di mamma e papà, consapevoli che l'unica verità è che Donatella non tornerà più. Ma sopravvivere ai figli è un tormento che non dà tregua, che ti frantuma il cuore in mille pezzi. Se la morte presunta non dovesse arrivare dai giudici, sarebbe un'altra «pugnalata» al cuore di una madre che continua a combattere, oggi da sola, anche se sostenuta «dai tanti amici di Viterbo e Francavilla, che sono sempre stati con noi, che non mi lasciano mai sola e che non so più come ringraziare».
Sarebbe un'altra beffa per quella piccola donna dal carattere deciso a cercare il suo «grande amore», la sua unica figlia, che aveva tanti sogni, che credeva nell'amore eterno e aveva sempre il sorriso sulla bocca.
«A volte», dice Tina con la voce strozzata dalla commozione, «ripenso ai passaggi legali compiuti in questi anni e ho la sensazione che la giustizia ci sia stata vicina, altre volte ho dubbi che siano stati fatti tutti i percorsi giusti». Piange, Tina, in attesa di quella giustizia in cui ha creduto a metà, ma che ora spera possa darle il conforto di un ultimo atto: «Sistemare le cose di Donatella, prima di chiudere gli occhi». Quegli occhi, che sono rimasti umidi per tutti questi anni.
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