E' il risultato peggiore mai ottenuto dalla sinistra
Anche dopo la svolta della Bolognina e la scissione del Pci era andata meglio
ROMA. Anche nel momento peggiore e più traumatico per milioni di militanti, la svolta della Bolognina e la scissione del Pci in Pds e Rifondazione, era andata meglio: Achille Occhetto prese 6.321.084 voti, oltre 200mila in più del Pd di oggi. Era il 1992, tre anni dopo la caduta del Muro e due anni prima della discesa in campo di Berlusconi. La sinistra fa i conti con il peggior risultato dal 1948 proprio nel giorno in cui tutto quello che ha sempre combattuto, almeno a parole, prende forma nel risultato storico della Lega: oltre 5 milioni e 600mila voti che portano a poco più di un solo punto percentuale (17,4 contro 18,7) il divario tra l'incarnazione dei populismi e quella che avrebbe dovuto essere l'erede della tradizione di sinistra cattolica e riformista.
Andando indietro nel tempo, si parte dal 2 giugno del 1946. Quel giorno gli italiani votarono per l'Assemblea Costituente: il fronte di sinistra era rappresentato dal Pci di Togliatti e dal Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup) di Ivan Lombardo e ottenne oltre 9 milioni e 100mila voti. Due anni dopo, nelle prime elezioni per il Parlamento, fu la volta del Fronte democratico Popolare, la federazione formata da Togliatti e Nenni che aveva nel simbolo il volto di Garibaldi. I voti alla Camera furono 8.136.637, con il 30,98% delle preferenze. E si arrivò così al 1953, la prima volta che gli italiani trovarono sulla scheda falce e martello, sia sul simbolo del Pci sia su quello del Psi. Il primo prese 6.120.809 voti, i socialisti 3.441.014. Da quel momento e per 30 anni, per il Pci, fu un crescendo: 8.551.347 di voti (il 26,9%) in pieno Sessantotto, 9.068.961 (il 27,15%) nel maggio del 1972, ben 12.614.650 nel giugno del 1976. Il Pci arrivò al 34,37%, la percentuale più alta di sempre che però non bastò per farlo diventare il primo partito. Operazione che riuscì alle Europee del 1984, quando i comunisti presero 11.714.428 voti contro gli 11.583.767 della Dc. Il resto è storia recente, con le prime avvisaglie della caduta già nel 1987: i quasi 12 milioni di voti dell' '84 scesero a 10.250.644, 8 punti percentuale in meno rispetto al 1976. La prima pesante sconfitta è del 1994, quella della «gioiosa macchina da guerra»: il Pds prese 7.881.646 voti, contro gli 8.136.135 di Berlusconi. Poi venne il 2001 e il fondo fu toccato dai Democratici di Sinistra che presero 6.151.154 voti: fino ad oggi era il peggior risultato anche se altri 5.391.827 voti (14,52%) li raccolse la Margherita. L'Ulivo di Prodi nel 2006 risollevò umori e speranza di tutta l'area riformista, raccogliendo 11.930.983 voti. Ma l'ennesima rottura a sinistra portò alla caduta del governo e al ritorno del centrodestra nel 2008 nonostante Walter Veltroni, diventato segretario del Pd, portò il partito al miglior risultato dalla svolta della Bolognina: 12.095.306 voti, con una percentuale del 33,18%. La «non vittoria» di Bersani nel 2013, con 8.646.034, ha aperto la strada al governo Letta prima, a Renzi poi e, infine Gentiloni. Fino ai poco più di 6 milioni di voti di domenica scorsa.
Andando indietro nel tempo, si parte dal 2 giugno del 1946. Quel giorno gli italiani votarono per l'Assemblea Costituente: il fronte di sinistra era rappresentato dal Pci di Togliatti e dal Partito socialista italiano di unità proletaria (Psiup) di Ivan Lombardo e ottenne oltre 9 milioni e 100mila voti. Due anni dopo, nelle prime elezioni per il Parlamento, fu la volta del Fronte democratico Popolare, la federazione formata da Togliatti e Nenni che aveva nel simbolo il volto di Garibaldi. I voti alla Camera furono 8.136.637, con il 30,98% delle preferenze. E si arrivò così al 1953, la prima volta che gli italiani trovarono sulla scheda falce e martello, sia sul simbolo del Pci sia su quello del Psi. Il primo prese 6.120.809 voti, i socialisti 3.441.014. Da quel momento e per 30 anni, per il Pci, fu un crescendo: 8.551.347 di voti (il 26,9%) in pieno Sessantotto, 9.068.961 (il 27,15%) nel maggio del 1972, ben 12.614.650 nel giugno del 1976. Il Pci arrivò al 34,37%, la percentuale più alta di sempre che però non bastò per farlo diventare il primo partito. Operazione che riuscì alle Europee del 1984, quando i comunisti presero 11.714.428 voti contro gli 11.583.767 della Dc. Il resto è storia recente, con le prime avvisaglie della caduta già nel 1987: i quasi 12 milioni di voti dell' '84 scesero a 10.250.644, 8 punti percentuale in meno rispetto al 1976. La prima pesante sconfitta è del 1994, quella della «gioiosa macchina da guerra»: il Pds prese 7.881.646 voti, contro gli 8.136.135 di Berlusconi. Poi venne il 2001 e il fondo fu toccato dai Democratici di Sinistra che presero 6.151.154 voti: fino ad oggi era il peggior risultato anche se altri 5.391.827 voti (14,52%) li raccolse la Margherita. L'Ulivo di Prodi nel 2006 risollevò umori e speranza di tutta l'area riformista, raccogliendo 11.930.983 voti. Ma l'ennesima rottura a sinistra portò alla caduta del governo e al ritorno del centrodestra nel 2008 nonostante Walter Veltroni, diventato segretario del Pd, portò il partito al miglior risultato dalla svolta della Bolognina: 12.095.306 voti, con una percentuale del 33,18%. La «non vittoria» di Bersani nel 2013, con 8.646.034, ha aperto la strada al governo Letta prima, a Renzi poi e, infine Gentiloni. Fino ai poco più di 6 milioni di voti di domenica scorsa.