25 aprile in abruzzo

Ettore Troilo, eroe della libertà: "Passione, onore e coerenza"

Carlo, il figlio del comandante della Brigata Maiella, racconta la vita di suo padre tra famiglia e politica: "Dopo la Resistenza rifiutò tutti gli incarichi che gli furono offerti, dal Parlamento all'Onu, e morì in povertà"

Passione per la politica, ontestà e coerenza. Ecco Ettore Troilo il leggendario comandante della Brigata Maiella. Per conoscere meglio questa figura di primissimo piano nella lotta per la libertà e il riscatto nazionale, abbiamo intervistato il figlio Carlo, giornalista e scrittore.

Nella Grande guerra, suo padre, a 18 anni, partì volontario per il fronte. Combattè sul Carso e rimase anche ferito. Ne parlava di questa sua esperienza?

Non ne parlava molto perché era stata atroce. Ricordava però alcune persone straordinarie conosciute al fronte, di cui rimase amico per tutta la vita: in particolare, il grande Emilio Lussu.

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Dopo la guerra, laureatosi in Giurisprudenza alla "Sapienza" di Roma, si trasferì a Milano dove iniziò la carriera forense. Perché a Milano?

Perché a Milano c'era lo studio di un avvocato abruzzese amico di mio nonno Nicola, che era il medico condotto di Torricella.

Nel 1923 tornò a Roma, dove divenne amico e collaboratore di Giacomo Matteotti. Come conobbe il parlamentare socialista?

Gli fu presentato da Filippo Turati, di cui mio padre era stato un discepolo a Milano (ogni sera frequentava la casa di Turati e di Anna Kuliscioff, che lo chiamava affettuosamente "l'avvocatino").

Sposatosi con Letizia Piccone, ebbe tre figli: Carlo, Nicola e Michele. Che tipo di padre era?

Molto affettuoso. Non aveva mai bisogno di rimproverarci perché la sua naturale autorevolezza era sufficiente perché ci comportassimo bene.

Che carattere aveva?

Entusiasta nelle battaglie, tendente alla malinconia nel privato, davvero felice solo in famiglia.

Quali valori vi ha trasmesso?

Passione per la politica, onestà, coerenza.

Quale fu il suo rapporto col Regime?

Di aperto contrasto per il suo dichiarato antifascismo: "sorvegliato speciale", soggetto a frequenti arresti domiciliari e discriminato nella professione di avvocato (non poteva difendere in Cassazione).

Dopo l'8 Settembre torna a in Abruzzo e fonda la gloriosa Brigata Maiella, che fu aggregata agli Alleati. Sulla divisa i volontari della formazione non avevano i simboli di casa sabauda, ma il Tricolore. Che significato aveva?

Il rifiuto della monarchia e il sentimento repubblicano che unì sempre tutti i "maiellini".

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Dopo la Liberazione dell'Abruzzo, la Brigata continuò a combattere accanto agli Alleati fino ad Asiago in Veneto, con la ferma intenzione di liberare anche il Nord e unificare l'Italia. Ci fu un episodio che suo padre ricordava particolarmente?

Il giorno in cui con la sua jeep saltò su una mina nelle Marche e rimase per molti giorni fra la vita e la morte.

Non ritiene che la Resistenza in Abruzzo sia stata molto più rilevante di quanto finora riconosciuto?

Per decenni sì, per il dominio dei comunisti nella storiografia della Resistenza, ma da qualche tempo il riconoscimento è pieno, anche per l'impegno di noi figli e della Fondazione Brigata Maiella.

Nel gennaio del '46 suo padre viene nominato prefetto di Milano, al posto di Riccardo Lombardi. Vi si trasferisce anche la famiglia?

Subito dopo di lui, a fine gennaio.

Il 27 novembre del '47, il ministro dell'Interno, Mario Scelba, lo rimosse dall'incarico. Quali furono le vere ragioni?

L'eccessiva autonomia di Troilo nei confronti del governo e l'imminenza delle decisive elezioni (aprile 1948), per le quali Scelba voleva un prefetto di carriera e a lui fedele.

La sua sostituzione causò una drammatica reazione della sinistra che occupò la prefettura con i suoi militanti, tra cui ex partigiani armati, guidati da Giancarlo Pajetta, dirigente del Pci. Ci fu il pericolo di una guerra civile?

Si corse il rischio, tanto che gli Usa rinviarono il rientro in patria delle ultime truppe di occupazione. Evitò il peggio grazie alla sua popolarità e alla saggezza del comandante dell'Esercito a Milano, anche lui ex partigiano. Si addossò tutta la responsabilità della occupazione della Prefettura. Se l'avesse impedita, sarebbe successo il peggio visto che gli ex partigiani erano tutti armati.

Nell'aprile del '48, si presentò alle elezioni Politiche come indipendente nella lista del Fronte popolare, ma non fu eletto. Il Pci avrebbe voluto far dimettere un proprio deputato. Ma suo padre rifiutò.

Fu il primo dei non eletti e rifiutò di andare in Parlamento al posto di un candidato regolarmente eletto, per coerenza e disinteresse.

Rinunciò anche all'incarico di rappresentare l'Italia all'Onu. Perché?

L'incarico all'Onu gli sembrava "un contentino" e preferì tornare alla sua professione.

Il suo partito, il Psi, come si comportò con lui?

Non si comportò bene, anche se Nenni, Lombardi e Pertini lo stimavano molto.

Quale fu il suo rapporto con la politica?

Difficile, perché Troilo non era portato per i compromessi, che sono alla base della attività politica.

Cosa lo amareggiava di più?

I mancati riconoscimenti del suo Partito e il degrado della politica.

Come trascorse gli ultimi anni della sua vita?

Con un po' di amarezza, perché i molti anni trascorsi senza esercitare la sua professione gli crearono, in vecchiaia, difficoltà economiche che certo non meritava. Morì, come soleva dire, "in onorata povertà".

Se avesse voluto, Ettore Troilo avrebbe potuto condurre una vita agiata. Ma aveva rinunciato a tutto: all'incarico all'Onu, alla pensione di guerra, alla candidatura in Abruzzo: una figura unica nella storia recente italiana. Le Istituzioni per tanto tempo possono essersi dimenticati di lui, ma non gli abruzzesi.

«Troilo», ha detto il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, intervenendo alla presentazione a Roma del libro di Nicola Tuscello sulla Brigata, «è il padre morale della nostra Regione e del nostro popolo. Un riferimento a cui dovremmo tutti ispirarci».

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