FARE GIUSTIZIA
Non è stato un incidente inevitabile. Non è stata “una catastrofe naturale”. Prima di ogni altra cosa, dopo questo ennesimo colpo di scena in Cassazione, proviamo ad immaginare il senso più importante del lavoro della procura di Pescara come un grande messaggio civile. Non si tratta dunque di strappare o meno una condanna in più, di comminare afflizioni o pene. Qualunque sia il giudizio finale della Cassazione (ce la racconterà la nostra meticolosa Simona De Leonardis), abbiamo scelto come epigrafe ideale di questa vicenda un pugno di asciuttissime righe (le trovate a pagina 2) del ricorso: le vittime di Rigopiano non sono morte perché la natura è maligna, ma per un concerto di fattori legati a scelte umanissime (ma sbagliate). Doveva esserci – spiegano i magistrati – un piano frane che non c’era. E se non c’era il piano frane non doveva esserci un albergo lì. E se pure c’era l’albergo lì, non doveva essere aperto. E se anche era aperto l’albergo, non doveva esserci la strada ostruita per un giorno intero. Tutto questo non è colpa del fato, di una divinità capricciosa o una beffa del destino. Prendiamo l’ultimo capitolo di questo infinito romanzo processuale come un messaggio che parla anche a noi, di noi. E ci ricorda che la sfortuna non esiste.