Il caso del carcere in Consiglio. “Va spostato dal centro abitato”

Domani la seduta straordinaria aperta, con la delocalizzazione della struttura tra i punti da affrontare. Calzone (Osapp): «Il nuovo direttore bravo a riportare serenità, ma adesso tocca alla politica»
PESCARA. A un mese (oggi) dalla rivolta nel carcere di San Donato, con il suicidio di un detenuto egiziano di 24 anni, l’incendio e la devastazione del piano terra, il caso domani alle 15.30 sarà al centro di un consiglio comunale straordinario. Chiesta dai consiglieri del centrosinistra e del gruppo civico Pettinari, la seduta è aperta ai sindacati della polizia penitenziaria, all’ordine degli avvocati, alla Camera penale, ai politici e alle associazioni che si occupano di tutela dei diritti dei detenuti con il doppio obiettivo di affrontare le condizioni di lavoro e di vita della polizia penitenziaria e dei detenuti, e di spingere per delocalizzare il carcere, individuando un nuovo sito e sensibilizzando il governo per lo stanziamento dei fondi.
«È importante questo Consiglio», dice subito Giovanni Calzone, segretario provinciale Osapp, «per riallacciare i rapporti con il Comune, con le altre figure istituzionali e con la stessa città: il carcere ha bisogno di aiuto per risolvere problemi quotidiani, ma non solo». E va al sodo, Calzone: «Da quando c’è stata la rivolta, tante cose sono andate bruciate e sono ancora accatastate all’interno della struttura, e già per questo avremmo bisogno di una mano da parte del Comune, di Ambiente. E poi il problema dell’acqua, abbiamo le tubature che perdono con un dispendio allucinante, mentre comunque l’acqua manca. Le autocisterne vengono a ricaricare i serbatoi 4-5 volte al giorno, con un costo importante per i contribuenti. È vero che il nuovo direttore ci sta mettendo mano, anzi, lo ringraziamo per tutto quello che è già riuscito a fare in un solo mese, ma servono sostegni anche dall’esterno».
Un’altra questione, quella della lavanderia inagibile da mesi: «Un problema soprattutto per chi non ha famiglia e deve lavarsi le cose da solo nei secchi. È un disagio totale, nonostante, come detto, il nuovo direttore Franco Pettinelli in questo mese abbia risollevato il carcere sotto tanti punti di vista». Una puntualizzazione che il sindacalista tiene a fare dopo le dichiarazioni rese in Procura la scorsa settimana dalla ex direttrice del carcere Armanda Rossi, sostituita dal provveditore il giorno stesso della rivolta. L’ex direttrice, sotto inchiesta per omissioni di atti d’ufficio, e trasferita lo scorso 17 febbraio al carcere di Frosinone, si è difesa sostenendo, tra le altre cose, di aver trovato un carcere sovraffollato, «in condizioni di degrado e abbandono, e con una elevata percentuale del personale che agiva con superficialità».
Dichiarazioni che oggi fanno dire a Calzone, a nome dei colleghi, un centinaio gli effettivi: «Da quando è andata via lei, non solo abbiamo abbassato il numero dei detenuti, dai 450 del giorno della rivolta agli attuali 380, ma siamo stati messi in condizione di lavorare, e tutta la catena di montaggio che porta avanti il carcere è tornata a funzionare, compresi i permessi e il lavoro per i detenuti. Le carte sono tornate a viaggiare, c’è finalmente un clima sereno». Ma sistemata l’urgenza, il sindacalista, come anche aveva rimarcato dopo la rivolta il consigliere comunale Domenico Pettinari, rivendica la necessità di delocalizzare il carcere, ed è quello che chiederanno domani alla politica in sede di Consiglio: «La nostra priorità è che l’attuale carcere sia chiuso, non può stare in mezzo alle case, in mezzo al centro abitato che pure è in crescita. Parliamo di un carcere obsoleto, con i muri bassi, dove dall’esterno chiunque può lanciare cose all’interno, Il progetto della delocalizzazione esiste da venti anni, si parlava di Sambuceto e della zona Ikea, una zona che abbia un giusto distanziamento dalla città e i servizi adeguati e funzionanti, dal sistema fognario a quello idrico. Ci piacerebbe che il nuovo carcere nascesse entro i prossimi 5 anni».