RAPPORTO CARCERI
L’Abruzzo dietro le sbarre, viaggio nella disperazione
Per Antigone resta cronico il problema infrastrutture. L'appello alla politica: "Non restate a guardare"
AVEZZANO. L’Abruzzo dietro le sbarre è un viaggio tra l’ergastolo ostativo, cioè senza alcun beneficio, dei condannati nel carcere di Sulmona e gli internati di Vasto, spesso malati di mente che andrebbero curati e non tenuti in una casa lavoro e in ambienti inadatti. Sono solo alcuni aspetti che emergono dal rapporto sulle carceri frutto di un anno di osservazioni condotte nei sette istituti penitenziari abruzzesi (Pescara, Chieti, Teramo, Vasto, Lanciano, Avezzano e Sulmona). La ricerca è stata svolta dal presidente dell’associazione Antigone, Salvatore Braghini, insieme a Renzo Lancia, Claudia Sansone e Tommaso Ciancarella, accreditati dal ministero di Giustizia. L’unico istituto che è non è stato visitato è stato quello dell’Aquila in quanto “carcere speciale” in cui vige il regime del 41bis.
Sono tanti i problemi radicati nelle strutture: il sovraffollamento, lo stato di inadeguatezza degli edifici, la cronica carenza di personale penitenziario, l’insussistenza dei fondi per il lavoro dei detenuti e il trattamento rieducativo che a volte non va. Una situazione difficile. Che Braghini ha avuto modo di denunciare anche alla Regione nel corso dell’audizione alla V commissione Salute, sicurezza sociale, cultura, formazione e lavoro presieduta da Mario Olivieri. Il presidente di Antigone ha evidenziato come «nel silenzio della politica permangano gravi criticità di cui nessuno si fa carico».
Nella maggior parte dei casi gli edifici, di vecchia concezione, hanno bisogno di ristrutturazioni, con alcuni spazi e locali non a norma. Le celle sono quasi sempre molto anguste, ospitano in media due detenuti, con bagni senza privacy in quasi tutti gli istituti detentivi e sono prive di doccia e di acqua calda.
Malgrado i casi di sovraffollamento, soprattutto a Sulmona e Lanciano, sono per lo meno rispettati i parametri di tre metri quadrati a detenuto, spazio minimo stabilito dalla Corte Europea nella sentenza Torreggiani. Di contro c’è che negli istituti penitenziari abruzzesi è arrivata la tecnologia. In quasi tutte le case c’è una “sala regia” collegata con un sistema di videosorveglianza interno e particolari supporti tecnologici che sostituiscono compiti tradizionalmente affidati al personale (sistemi di altoparlanti in filodiffusione, porte automatizzate con comando a distanza, uso di telefoni senza fili da parte degli agenti).
I servizi sanitari sono ritenuti buoni e non sono state riscontrate attese troppo lunghe con la possibilità di essere sottoposti a visite specialistiche. Le prestazioni odontoiatriche sono invece le più problematiche perché molti interventi non rientrano nei livelli essenziali di assistenza.
Sono invece tanti, forse troppi, i casi di autolesionismo con una punta di 82 episodi al Castrogno di Teramo. Così come gli scioperi della fame i quali, secondo l’associazione Antigone, «denotano condizioni di malessere e disagio confermate dalla percentuale delle patologie psichiatriche che richiedono assistenza». Eppure ormai è entrata in tutte le case la cosiddetta “sorveglianza dinamica” che abolisce il controllo diretto e assoluto e si fonda sulla conoscenza del detenuto e sull’autonomia di gestione della sicurezza e del trattamento, anche al fine di ottimizzare le risorse del personale.
Infine il regime delle “celle aperte”, adottato nelle 7 carceri abruzzesi, compensa l’inadeguatezza degli spazi e la carenza di personale penitenziario.
Sono tanti i problemi radicati nelle strutture: il sovraffollamento, lo stato di inadeguatezza degli edifici, la cronica carenza di personale penitenziario, l’insussistenza dei fondi per il lavoro dei detenuti e il trattamento rieducativo che a volte non va. Una situazione difficile. Che Braghini ha avuto modo di denunciare anche alla Regione nel corso dell’audizione alla V commissione Salute, sicurezza sociale, cultura, formazione e lavoro presieduta da Mario Olivieri. Il presidente di Antigone ha evidenziato come «nel silenzio della politica permangano gravi criticità di cui nessuno si fa carico».
Nella maggior parte dei casi gli edifici, di vecchia concezione, hanno bisogno di ristrutturazioni, con alcuni spazi e locali non a norma. Le celle sono quasi sempre molto anguste, ospitano in media due detenuti, con bagni senza privacy in quasi tutti gli istituti detentivi e sono prive di doccia e di acqua calda.
Malgrado i casi di sovraffollamento, soprattutto a Sulmona e Lanciano, sono per lo meno rispettati i parametri di tre metri quadrati a detenuto, spazio minimo stabilito dalla Corte Europea nella sentenza Torreggiani. Di contro c’è che negli istituti penitenziari abruzzesi è arrivata la tecnologia. In quasi tutte le case c’è una “sala regia” collegata con un sistema di videosorveglianza interno e particolari supporti tecnologici che sostituiscono compiti tradizionalmente affidati al personale (sistemi di altoparlanti in filodiffusione, porte automatizzate con comando a distanza, uso di telefoni senza fili da parte degli agenti).
I servizi sanitari sono ritenuti buoni e non sono state riscontrate attese troppo lunghe con la possibilità di essere sottoposti a visite specialistiche. Le prestazioni odontoiatriche sono invece le più problematiche perché molti interventi non rientrano nei livelli essenziali di assistenza.
Sono invece tanti, forse troppi, i casi di autolesionismo con una punta di 82 episodi al Castrogno di Teramo. Così come gli scioperi della fame i quali, secondo l’associazione Antigone, «denotano condizioni di malessere e disagio confermate dalla percentuale delle patologie psichiatriche che richiedono assistenza». Eppure ormai è entrata in tutte le case la cosiddetta “sorveglianza dinamica” che abolisce il controllo diretto e assoluto e si fonda sulla conoscenza del detenuto e sull’autonomia di gestione della sicurezza e del trattamento, anche al fine di ottimizzare le risorse del personale.
Infine il regime delle “celle aperte”, adottato nelle 7 carceri abruzzesi, compensa l’inadeguatezza degli spazi e la carenza di personale penitenziario.