Lontano dai riflettori per anni come le vittime del terrorismo
PESCARA. Un anno e mezzo fa Marco Alessandrini era un giovane avvocato con un cognome pesante e un volto sconosciuto ai più, salvo qualche sporadica apparizione in pubblico per ricordare il papà, Emilio. L’organizzazione terroristica Prima linea si accanì contro di lui quella mattina del 29 gennaio del 1979, a Milano: due colpi di pistola per chiudere il conto con il giudice pescarese impegnato nella lotta all’eversione, di destra e di sinistra.
Marco era appena sceso dall’auto del padre. Aveva otto anni. Il genitore lo aveva accompagnato a scuola con la sua Renault verde. L’ultimo saluto. Poi l’agguato. Figlio unico, annoverato da quel momento tra i familiari delle vittime del terrorismo, Marco Alessandrini prosegue il suo percorso di vita attraversando gli anni ottanta e novanta nella professione, perché del papà Emilio non si ricorda più nessuno. Anche la sua Pescara sembra averlo quasi dimenticato. Un destino comune alle altre vittime degli anni di piombo, mentre i “cattivi maestri” lasciano le patrie galere, tornano in cattedra nelle università, saltano da un salotto all’altro delle tv. Alle vittime del terrorismo restano solo targhe e medaglie di Stato cucite sul petto, come il dolore.
Ci vuole il coraggio e la tenacia di alcuni vecchi compagni di scuola di Emilio Alessandrini, come Ennio Di Francesco, Paolo Matricardi, Gabriele Paragona, Giuseppe Zincani, Peppino De Lutiis, a risvegliare l’opinione pubblica. Nel 1993 si forma un primo comitato spontaneo: nasce l’associazione Emilio Alessandrini. Il piccolo comune di Ari si associa ad una iniziativa che da quel momento raccoglie adesioni, consensi e, soprattutto, ha il merito di far conoscere ad intere generazioni di giovani i volti, le storie, il sacrificio di uomini che hanno pagato con la vita per difendere la legalità. Gli appuntamenti dell’associazione si susseguono, si moltiplicano, come gli anniversari del lutto. Marco Alessandrini continua ad essere un giovane e promettente avvocato ma sempre ai margini della vita pubblica, schivo e riservato come il papà. Anche perché in tv ci vanno ancora e sempre loro, i “cattivi maestri”, magari a pubblicizzare l’ultimo libro. Le vittime del terrorismo non fanno audience.
La svolta arriva in tempi recenti, merito anche del libro di Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi: “Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”. La storia, appunto, di quanti sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo. Così i media, e non solo, si accorgono anche di loro. Un anno e mezzo fa il Partito democratico contatta Marco Alessandrini. Dopo qualche mese l’avvocato si ritrova assessore nella giunta D’Alfonso e dalla centrifuga politico-giudiziaria catapultato nella sfida di oggi, la più difficile.
Marco era appena sceso dall’auto del padre. Aveva otto anni. Il genitore lo aveva accompagnato a scuola con la sua Renault verde. L’ultimo saluto. Poi l’agguato. Figlio unico, annoverato da quel momento tra i familiari delle vittime del terrorismo, Marco Alessandrini prosegue il suo percorso di vita attraversando gli anni ottanta e novanta nella professione, perché del papà Emilio non si ricorda più nessuno. Anche la sua Pescara sembra averlo quasi dimenticato. Un destino comune alle altre vittime degli anni di piombo, mentre i “cattivi maestri” lasciano le patrie galere, tornano in cattedra nelle università, saltano da un salotto all’altro delle tv. Alle vittime del terrorismo restano solo targhe e medaglie di Stato cucite sul petto, come il dolore.
Ci vuole il coraggio e la tenacia di alcuni vecchi compagni di scuola di Emilio Alessandrini, come Ennio Di Francesco, Paolo Matricardi, Gabriele Paragona, Giuseppe Zincani, Peppino De Lutiis, a risvegliare l’opinione pubblica. Nel 1993 si forma un primo comitato spontaneo: nasce l’associazione Emilio Alessandrini. Il piccolo comune di Ari si associa ad una iniziativa che da quel momento raccoglie adesioni, consensi e, soprattutto, ha il merito di far conoscere ad intere generazioni di giovani i volti, le storie, il sacrificio di uomini che hanno pagato con la vita per difendere la legalità. Gli appuntamenti dell’associazione si susseguono, si moltiplicano, come gli anniversari del lutto. Marco Alessandrini continua ad essere un giovane e promettente avvocato ma sempre ai margini della vita pubblica, schivo e riservato come il papà. Anche perché in tv ci vanno ancora e sempre loro, i “cattivi maestri”, magari a pubblicizzare l’ultimo libro. Le vittime del terrorismo non fanno audience.
La svolta arriva in tempi recenti, merito anche del libro di Mario Calabresi, figlio del commissario Luigi: “Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”. La storia, appunto, di quanti sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo. Così i media, e non solo, si accorgono anche di loro. Un anno e mezzo fa il Partito democratico contatta Marco Alessandrini. Dopo qualche mese l’avvocato si ritrova assessore nella giunta D’Alfonso e dalla centrifuga politico-giudiziaria catapultato nella sfida di oggi, la più difficile.