Madre denuncia: così ho scoperto che mia figlia è una baby squillo
I verbali choc: «Nell’armadio tacchi a spillo e calze a rete, ecco perché mi sono insospettita». Tre indagati
CHIETI. «Mi sono insospettita quando ho trovato nell’armadio di mia figlia, 16 anni appena, un paio di scarpe con i tacchi a spillo, i leggings di pelle, un bustino intimo in pizzo e le calze a rete nere». È la denuncia di una madre coraggiosa ad alzare il velo su un’allarmante storia di baby squillo. Una madre che, dopo la scoperta choc, non si gira dall’altra parte, ma fa la scelta più giusta: va dalla polizia e, davanti agli investigatori della squadra mobile di Chieti, racconta tutto e offre dettagli decisivi per identificare le tre persone – un trentenne di Ripa Teatina, un ventunenne di Alanno e una ventenne teatina – che hanno spinto la figlia, affetta anche da ritardo cognitivo, a prostituirsi e a realizzare esibizioni pornografiche via webcam in cambio di pochi euro, cibo o sigarette.
VERSO IL PROCESSO
Nei confronti degli sfruttatori la procura dell’Aquila, competente per reati di questo tipo, ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, atto che prelude alla richiesta di processo. Sono più di 400 le pagine che compongono un fascicolo d’indagine che fa emergere, in chiave abruzzese, un fenomeno – quello delle baby squillo – diventato anche un caso televisivo con la celebre serie su Netflix (Baby, appunto) ispirata allo scandalo che, nel 2013, scoppiò nel quartiere romano dei Parioli.
LA DENUNCIA CHOC
«Dopo la scoperta fatta mentre rassettavo l’armadio», racconta la donna negli uffici della questura, «ho chiesto spiegazioni a mia figlia. Lei mi ha risposto che quegli indumenti le erano stati regalati da un suo compagno di scuola, più grande, di cui non ha voluto dire il nome nonostante le mie insistenze. Alle cinque del mattino successivo, mentre lei dormiva, ho preso il suo telefono: conoscendone il codice di sblocco, ho cominciato subito a controllare i messaggi WhatsApp». Una conversazione con un ragazzo, in particolare, ha catturato l’attenzione di questa mamma. «Pur non avendo letto nulla di grave, ho comunque visto delle foto mandate da lui che lo ritraggono a petto nudo, nonché foto, forse scaricate da internet, che raffiguravano della droga».
LE CHAT ALLARMANTI
Dopo qualche ora, lei ha chiesto di nuovo spiegazioni alla ragazzina. «Mia figlia mi ha raccontato un sacco di bugie, ma io non ho lasciato perdere. Quello stesso giorno le ho sottratto il telefono e ho controllato attentamente non solo le chat di WhatsApp, ma anche quelle di Instagram, dove lei è iscritta con tre profili differenti. Ho scoperto una conversazione con un tale Jonny: leggendo i messaggi sono rimasta sconvolta perché questo ragazzo di 28 anni sembra aver avuto dei rapporti sessuali con lei in cambio di cibo, alcol, sigarette. Non solo: le ha mandato un link di una videochat erotica sulla quale avrebbe potuto guadagnare del denaro spogliandosi». E non è finita qui, perché la donna ha scoperto ulteriori chat a sfondo pornografico e con tentativi di adescamento.
LE ANALISI INFORMATICHE
A quel punto ha fatto quasi 40 screenshot di quelle conversazioni e le ha portate alla polizia, insieme al cellulare della ragazzina. Fin da subito, gli indizi appaiono più che solidi, tant’è che il pubblico ministero firma un decreto di perquisizione e sequestro nei confronti dei due giovani e della ragazza di 18 anni che hanno sfruttato la sedicenne e per questo devono rispondere, a vario titolo, di prostituzione e pornografia minorile per gli episodi avvenuti tra novembre 2022 e gennaio 2023. Tanto per rendere l’idea di cosa rischiano gli indagati (difesi dagli avvocati Massimo Dragani, Pietro Alessandrini e Francesco Odoardi), per ognuno dei reati contestati è prevista una pena da sei a dodici anni di carcere. L’analisi dei dispositivi informatici, affidata all’ingegnere Davide Ortolano, conferma tutto. Ed è una verità tremenda: una ragazzina indotta a prostituirsi per 10, al massimo 15 euro.
©RIPRODUZIONE RISERVATA