«Mai vista lady Bmw, ma la invito a pranzo»
Show di Barretta in tribunale: nessun ricatto, scriverò la verità in un libro.
PESCARA. «Alla Klatten, che non conosco, farei un piatto di pasta. Sì, la aspetto a Pescosansonesco. Lei e le altre signore. Io amo tutti, voglio bene a tutti. Ma mi hanno fatto una porcata grossa che ha distrutto la mia famiglia». Aula gip, primo piano del tribunale. Al 33º giorno della libertà ritrovata ecco spuntare dalle scale un altro Ernani. Eppure, il distinto signore in cappotto nero comprato a Zara, abito blu scuro, cravatta regimental e scarpe marrone chiaro, l’uomo con la borsa di pelle e gli occhiali scuri è lo stesso che il 20 febbraio, fuori dal carcere di San Donato, abbracciò il figlio Marcello dopo 8 mesi di galera sparando a zero contro «i politici corrotti trattati meglio». Ernani Barretta non ha più i capelli bianchi e tutti arruffati. Ma un taglio di fresco e tanta grinta.
LA STAR. «E che sono una star?». Così l’imprenditore arrivato da Pescosansonesco, giusto un quarto d’ora prima dell’udienza che non ci sarà, accoglie l’assalto dei cronisti. Una «condanna» alla quale non si sottrae volutamente. Aveva detto: «Venite al processo. Ne vedrete e sentirete delle belle» e così ha fatto. Ha lasciato a casa i suoi familiari («Non li nominate più, fatemi ’sto favore. Soffrono tanto perché non hanno fatto niente») e ha scelto di mettere la faccia davanti a telecamere e taccuini. «Sì, perché, che devo di’, che lavoro da più di quarant’anni e che i soldi li metto sotto al mattone perché alle banche non glieli voglio da’? Tutti pezzi da 500? Embe’, a voi vi pagano coi pezzi più piccoli?», e giù una serie di espressioni colorite che quasi oscurano la presenza di un altro personaggio a suo agio sotto i riflettori, l’avvocato-professore Carlo Taormina che ha sposato la causa-Barretta con particolare entusiasmo.
«DAI, BARRETTA». Alle 10,45, scortato dal fedele Aygo, un giovane svizzero che lo protegge dagli assalti dei cronisti, e dall’altro avvocato Italo Longo, Barretta finalmente compare sulla scena. L’uomo accusato di aver messo in piedi un’organizzazione per raggirare ricchissime donne tedesche e di aver filmato, come sostiene la Procura, gli incontri sessuali da una stanza attigua a quella dove l’amico seduttore Helg Sgarbi incontrava le sue «prede», comincia a prendersi qualche rivincita. «Dai, signor Barretta», lo incalza una cancelliera che fa l’appello dei presenti. Sono le 11 ed Ernani entra in silenzio. La porta si chiude per dieci minuti appena. «Rinviata». Ernani è lesto a uscire con in tasca il primo rinvio e davanti una selva di microfoni italiani e tedeschi pronti a rilanciare fino a Monaco di Baviera il suo pensiero sulla storia dei ricatti a luci rosse che ha tirato in ballo l’imprenditrice-benefattrice Susanne Klatten, considerata una vera e propria donna-simbolo in Germania.
IL PIATTO DI SPAGHETTI. «Prima di tutto io la signora Klatten non la conosco, non l’ho mai vista. Non conosco neppure le altre donne che comunque vorrei conoscere. Se vengono a trovarmi nel mio Rifugio Valle Grande le incontrerò e cucinerò un piatto di spaghetti per tutti, anche per voi che mi avete massacrato. Io amo la Germania e il mio amico che è stato arrestato. Amo tutti quanti in un modo pulito e mi dispiace quello che è stato detto su di me. È falso e questo lo dimostreremo. La vicenda è stata ingigantita. I soldi? I soldi sono i miei. Me li sono guadagnati e ho risparmiato perché lavoro da 42 anni. Sono un imprenditore, sono l’ultimo di dieci figli.
A 12 anni io già mi davo da fare. Sono stato un emigrante. Ho lavorato in Germania e in Svizzera ma poi il cuore mi ha riportato qua, a Pescosansonesco. Ho lavorato anche a Pescara, presi il ristorante Zurigo a Francavilla e 12 appartamenti a Montesilvano, nel 1964. Dopo la morte di mio padre ho voluto fare una cosa bella per il mio paese ed è nato Valle Grande: in tre anni ci sono entrate 19mila persone, ho fatto tanti matrimoni e ho incassato bei soldini che ho messo da parte perché io alla banca non ce li porto.
A Valle Grande io ci sto bene e con me anche mia moglie e i miei figli e tanta gente che, grazie al lavoro, io ho recuperato e aiutato. Tutti miei parenti, miei amici, perché io non porto rancore a nessuno e voglio bene a tutti. Pensate che appena entrato ho voluto stringere la mano al pm Varone che mi accusa. Certo, sì, perché io ci credo alla giustizia. A quella divina ma pure a quella terrena. Visto che io mi trovo con i piedi per terra e ci devo credere per forza. Però, che porcata che m’hanno fatto. Ma non tanto per me, quanto per la mia famiglia. Distrutta senza che c’entrasse nulla».
IL COMPLEANNO. Mentre torna alla macchina, lui che di auto lussuose se ne intende («Sono un collezionista, le ho comprate 20 anni fa: è un reato pure questo?») pensa alla sua festa di compleanno. «Faccio 64 anni il 26 marzo e pure questo avete sbagliato. Me ne avete dati 68. Ma io non porto rancore a nessuno. Anzi, vi annuncio che prima di tutto voglio riaprire il pub “Il Fortino” e poi che sto scrivendo un libro. Ci sarà dentro tutta la mia vita. La storia della fatica di un emigrante che ha sempre lavorato. Una storia bella che nessuno vuole raccontare. E allora me la racconto io».
LA STAR. «E che sono una star?». Così l’imprenditore arrivato da Pescosansonesco, giusto un quarto d’ora prima dell’udienza che non ci sarà, accoglie l’assalto dei cronisti. Una «condanna» alla quale non si sottrae volutamente. Aveva detto: «Venite al processo. Ne vedrete e sentirete delle belle» e così ha fatto. Ha lasciato a casa i suoi familiari («Non li nominate più, fatemi ’sto favore. Soffrono tanto perché non hanno fatto niente») e ha scelto di mettere la faccia davanti a telecamere e taccuini. «Sì, perché, che devo di’, che lavoro da più di quarant’anni e che i soldi li metto sotto al mattone perché alle banche non glieli voglio da’? Tutti pezzi da 500? Embe’, a voi vi pagano coi pezzi più piccoli?», e giù una serie di espressioni colorite che quasi oscurano la presenza di un altro personaggio a suo agio sotto i riflettori, l’avvocato-professore Carlo Taormina che ha sposato la causa-Barretta con particolare entusiasmo.
«DAI, BARRETTA». Alle 10,45, scortato dal fedele Aygo, un giovane svizzero che lo protegge dagli assalti dei cronisti, e dall’altro avvocato Italo Longo, Barretta finalmente compare sulla scena. L’uomo accusato di aver messo in piedi un’organizzazione per raggirare ricchissime donne tedesche e di aver filmato, come sostiene la Procura, gli incontri sessuali da una stanza attigua a quella dove l’amico seduttore Helg Sgarbi incontrava le sue «prede», comincia a prendersi qualche rivincita. «Dai, signor Barretta», lo incalza una cancelliera che fa l’appello dei presenti. Sono le 11 ed Ernani entra in silenzio. La porta si chiude per dieci minuti appena. «Rinviata». Ernani è lesto a uscire con in tasca il primo rinvio e davanti una selva di microfoni italiani e tedeschi pronti a rilanciare fino a Monaco di Baviera il suo pensiero sulla storia dei ricatti a luci rosse che ha tirato in ballo l’imprenditrice-benefattrice Susanne Klatten, considerata una vera e propria donna-simbolo in Germania.
IL PIATTO DI SPAGHETTI. «Prima di tutto io la signora Klatten non la conosco, non l’ho mai vista. Non conosco neppure le altre donne che comunque vorrei conoscere. Se vengono a trovarmi nel mio Rifugio Valle Grande le incontrerò e cucinerò un piatto di spaghetti per tutti, anche per voi che mi avete massacrato. Io amo la Germania e il mio amico che è stato arrestato. Amo tutti quanti in un modo pulito e mi dispiace quello che è stato detto su di me. È falso e questo lo dimostreremo. La vicenda è stata ingigantita. I soldi? I soldi sono i miei. Me li sono guadagnati e ho risparmiato perché lavoro da 42 anni. Sono un imprenditore, sono l’ultimo di dieci figli.
A 12 anni io già mi davo da fare. Sono stato un emigrante. Ho lavorato in Germania e in Svizzera ma poi il cuore mi ha riportato qua, a Pescosansonesco. Ho lavorato anche a Pescara, presi il ristorante Zurigo a Francavilla e 12 appartamenti a Montesilvano, nel 1964. Dopo la morte di mio padre ho voluto fare una cosa bella per il mio paese ed è nato Valle Grande: in tre anni ci sono entrate 19mila persone, ho fatto tanti matrimoni e ho incassato bei soldini che ho messo da parte perché io alla banca non ce li porto.
A Valle Grande io ci sto bene e con me anche mia moglie e i miei figli e tanta gente che, grazie al lavoro, io ho recuperato e aiutato. Tutti miei parenti, miei amici, perché io non porto rancore a nessuno e voglio bene a tutti. Pensate che appena entrato ho voluto stringere la mano al pm Varone che mi accusa. Certo, sì, perché io ci credo alla giustizia. A quella divina ma pure a quella terrena. Visto che io mi trovo con i piedi per terra e ci devo credere per forza. Però, che porcata che m’hanno fatto. Ma non tanto per me, quanto per la mia famiglia. Distrutta senza che c’entrasse nulla».
IL COMPLEANNO. Mentre torna alla macchina, lui che di auto lussuose se ne intende («Sono un collezionista, le ho comprate 20 anni fa: è un reato pure questo?») pensa alla sua festa di compleanno. «Faccio 64 anni il 26 marzo e pure questo avete sbagliato. Me ne avete dati 68. Ma io non porto rancore a nessuno. Anzi, vi annuncio che prima di tutto voglio riaprire il pub “Il Fortino” e poi che sto scrivendo un libro. Ci sarà dentro tutta la mia vita. La storia della fatica di un emigrante che ha sempre lavorato. Una storia bella che nessuno vuole raccontare. E allora me la racconto io».