Montesilvano, un supertestimone incastra l'assassino e rivela: «Ucciso per un'offesa»
Identificato il killer del giovane rom, lo accusa un altro omicida pescarese: ha 46 anni e ha le ore contate. I carabinieri gli perquisiscono la casa
MONTESILVANO. «Quando l’ho riaccompagnato pensavo che dovesse prendere solo una mazza. Invece ha afferrato il fucile». Ha 58 anni e un passato segnato da un altro omicidio il supertestimone che incastra l’assassino del delitto di Montesilvano. Ma non è un mafioso il killer che alle 2,50 di sabato scorso ha esploso un solo colpo di fucile, da una distanza di 50 centimetri, centrando all’occhio sinistro Antonio Bevilacqua, 21 anni, rom di Montesilvano, nel ristopub BirraMi di via Verrotti. La criminalità organizzata non c’entra. Né c’entrano la droga o il gioco d’azzardo, i debiti o uno sgarro. Il giovane rom è stato ammazzato per una parola di troppo. Un’offesa nei confronti dell’altro. La parola che ha armato l’omicida potrebbe essere “infame” che, negli ambienti della mala, è considerata un oltraggio grave da punire persino con la morte. Ma per i carabinieri anche l’alcol, tanto alcol, ha giocato il suo ruolo innescando una reazione sproporzionata sfociata in rabbia omicida.
Il killer ha 46 anni e fa il pizzaiolo. Ma il suo nome, per ora, è coperto dal segreto perché i carabinieri, che lo hanno individuato, non lo hanno ancora arrestato. La sua abitazione è stata perquisita. Si trova a poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Gli investigatori l’hanno passata al setaccio ma non hanno trovato l’arma del delitto, un fucile da caccia, né cartucce come quella esplosa contro il volto di Bevilacqua. Lui, il killer, è ricercato, ma è una questione di ore, dicono gli investigatori della compagnia di Montesilvano e del Nucleo investigativo del Reparto operativo provinciale, delegati dal pm, Paolo Pompa.
La svolta dell’inchiesta è arrivata quasi subito. Non più di dodici ore dopo il delitto. Il supertestimone è stato riconosciuto dai fotogrammi ripresi dalla telecamera piazzata all’esterno del ristopub qualche secondo prima dell’omicidio. E’ un personaggio noto per i suoi guai con la giustizia. Guai grossi culminati, negli anni Novanta, con un omicidio avvenuto in via Aldo Moro, a Pescara: cinque pugnalate mortali a un giovane di Atri per uno sgarro consumato nel mondo della droga. Ma il superteste sa che non può più macchiarsi di nuovi gravi delitti. Né può nascondere la verità agli investigatori su un omicidio commesso da altri.
Così ai carabinieri ha ricostruito il prima e il dopo, evitando di finire sotto inchiesta per favoreggiamento o, ancora peggio, per concorso anomalo nell’omicidio del rom Bevilacqua. Il delitto viene preceduto da una discussione a tre, scoppiata davanti a testimoni intorno all’una e 50 della notte tra venerdì e sabato scorsi nel ristopub. Tra la discussione e la fucilata passa un’ora. Alle 2.50 l’assassino infatti torna da casa armato di fucile ma una delle telecamere esterne lo riprende di spalle. Ha il cappuccio della tuta calato sulla testa e un passamontagna del tipo usato dai motociclisti che gli copre il viso. Procede spedito verso l’ingresso del pub e, passando accanto al supertestimone che lo anticipa lungo il percorso, gli dice qualcosa di sfuggita o comunque gli fa un cenno. È quanto basta per far capire all’altro che sta per accadere qualcosa di grave. Il 58enne si volta sulla sua sinistra e si allontana dalla parte opposta prima ancora che il killer esploda il colpo mortale. È in quest’attimo, mentre si gira e se ne va, che la telecamera lo riprende in volto, lo fa riconoscere ai carabinieri e ai testimoni della discussione di un’ora prima. E lui, il superteste, portato in caserma, non può fare altro che raccontare tutto, tutelando la sua posizione quando dice che l’assassino era tornato a casa per prendere una mazza, non il fucile.