Mosaico romano, progetto dimenticato
Una piazza panoramica sui reperti ora sepolti dalla terra, ma da tanti anni non se ne parla più: il progetto degli architetti Maurizio Oranges e Lorenzo Buracchio resta chiuso nei cassetti della Soprintendenza
PESCARA. Testimone silenzioso di una storia invisibile. Rinvenuto più di 10 anni fa, il mosaico romano della golena sud è protetto da tre fasciature di cellophane e si trova sotto un abbondante strato di terra. Solo da poco, il Comune ha recintato e protetto l'area, prima offesa ogni giorno da automobilisti nevrotici alla ricerca di un parcheggio. Nel mosaico spicca un'anfora con una croce uncinata. Secondo gli esperti, l'opera ha circa 1800 anni. «Risale al II secolo dopo Cristo», dice l'archeologo Andrea Staffa. Probabilmente era il pavimento di un'importante struttura pubblica oppure un locale adibito al commercio.
La scoperta del mosaico bizantino
Di quel periodo si sa pochissimo, anche perché la genesi della città è una continua, violenta e insensata cancellazione della memoria. Sui libri di storia, andando per ordine, si parla di Vicus Aterni, a cui fu attribuito il nome Aternum, dall'omonimo fiume. Poi, viene citata Ostia Aterni, cioè foce dell'Aterno. C'era il porto fluviale, c'erano i commerci, c'è tuttora lo sbocco della Tiburtina, a quel tempo importantissima strada consolare, la Claudia Valeria. Insomma, sia pur senza vampate di gloria, l'intera area è vissuta da millenni. E va precisato che prima della feconda era romana ci fu un vivace insediamento vestino.
«Ostia Aterni era il principale porto romano dell'Abruzzo antico», aggiunge Staffa. «Lo snodo della rotta marittima per Spalato e lo sbocco di Roma sull'Adriatico. Insomma, parliamo di un vitale corridoio europeo dei traffici, sia delle merci che delle persone». In qualche cassetto, da troppo tempo ormai, giace un accattivante progetto degli architetti Maurizio Oranges e Lorenzo Buracchio, proposto alla Soprintendenza ai Beni archeologici.
«L'idea era quella di una piazza sopraelevata dalla quale accedere al sito archeologico, che veniva reso parte integrante di un percorso ciclopedonale», dice Oranges. «Il riscontro fu positivo, ma poi la cosa si arenò per i costi eccessivi. A riparlarne adesso, credo che si vada oltre il mezzo milione di euro perché il mosaico si trova sotto la quota della falda e necessita di interventi particolari. Ma il progetto prevedeva una valorizzazione seria e non l'effetto interramento che si ha davanti ai resti di Santa Gerusalemme».
Quell'affaccio panoramico ben rappresentato dal rendering dei due architetti (vedi pagina) collima con le indicazioni tecniche fornite a suo tempo dalla Soprintendenza. «Comune e Regione hanno perso l'occasione per restituire a Pescara una fetta della sua antichissima storia», aggiunge Staffa. «Abbiamo studiato a lungo il mosaico e ha le caratteristiche di altri reperti rinvenuti a Roma e ad Ascoli. Adornava un edificio di pregio, la cui presenza sulle rive del fiume testimonia la ricchezza della città. La croce, rovesciata rispetto a quella nazista, è un simbolo indoeuropeo che, tra le altre cose, equivale al rinnovamento della vita. La sua presenza in quella che adesso chiamiamo Pescara rimarca l'influenza internazionale dell'area portuale. Non credo che il progetto di Oranges e Buracchio sia da accantonare. Soprattutto, non è da abbandonare l'idea di riportare alla luce la gemma più preziosa della città antica».
Sopravvissuto ai morsi del tempo, il mosaico potrebbe essere irrimediabilmente compromesso dall'imperizia dei governanti attuali. È giusto interrogarsi sulle possibili infiltrazioni di acqua, già verificatesi nell'estate del 2001, poco dopo la scoperta. Si dirà che in una fase di ristrettezze economiche l'archeologia non è una priorità, ma è anche vero che i tempi di vacche grasse sono così rari da suggerire subito l'apertura di un'ampia e costruttiva discussione. Il mosaico è nel cuore di Pescara vecchia, dove c'è da scavare anche per riportare alla luce i sotterranei della piazzaforte spagnola, scoperti casualmente nel 1973 e subito ricoperti per paura che venissero interrotti i lavori della nuova linea ferroviaria. Lì sotto c'è un tesoro. La storia.
La scoperta del mosaico bizantino
Di quel periodo si sa pochissimo, anche perché la genesi della città è una continua, violenta e insensata cancellazione della memoria. Sui libri di storia, andando per ordine, si parla di Vicus Aterni, a cui fu attribuito il nome Aternum, dall'omonimo fiume. Poi, viene citata Ostia Aterni, cioè foce dell'Aterno. C'era il porto fluviale, c'erano i commerci, c'è tuttora lo sbocco della Tiburtina, a quel tempo importantissima strada consolare, la Claudia Valeria. Insomma, sia pur senza vampate di gloria, l'intera area è vissuta da millenni. E va precisato che prima della feconda era romana ci fu un vivace insediamento vestino.
«Ostia Aterni era il principale porto romano dell'Abruzzo antico», aggiunge Staffa. «Lo snodo della rotta marittima per Spalato e lo sbocco di Roma sull'Adriatico. Insomma, parliamo di un vitale corridoio europeo dei traffici, sia delle merci che delle persone». In qualche cassetto, da troppo tempo ormai, giace un accattivante progetto degli architetti Maurizio Oranges e Lorenzo Buracchio, proposto alla Soprintendenza ai Beni archeologici.
«L'idea era quella di una piazza sopraelevata dalla quale accedere al sito archeologico, che veniva reso parte integrante di un percorso ciclopedonale», dice Oranges. «Il riscontro fu positivo, ma poi la cosa si arenò per i costi eccessivi. A riparlarne adesso, credo che si vada oltre il mezzo milione di euro perché il mosaico si trova sotto la quota della falda e necessita di interventi particolari. Ma il progetto prevedeva una valorizzazione seria e non l'effetto interramento che si ha davanti ai resti di Santa Gerusalemme».
Quell'affaccio panoramico ben rappresentato dal rendering dei due architetti (vedi pagina) collima con le indicazioni tecniche fornite a suo tempo dalla Soprintendenza. «Comune e Regione hanno perso l'occasione per restituire a Pescara una fetta della sua antichissima storia», aggiunge Staffa. «Abbiamo studiato a lungo il mosaico e ha le caratteristiche di altri reperti rinvenuti a Roma e ad Ascoli. Adornava un edificio di pregio, la cui presenza sulle rive del fiume testimonia la ricchezza della città. La croce, rovesciata rispetto a quella nazista, è un simbolo indoeuropeo che, tra le altre cose, equivale al rinnovamento della vita. La sua presenza in quella che adesso chiamiamo Pescara rimarca l'influenza internazionale dell'area portuale. Non credo che il progetto di Oranges e Buracchio sia da accantonare. Soprattutto, non è da abbandonare l'idea di riportare alla luce la gemma più preziosa della città antica».
Sopravvissuto ai morsi del tempo, il mosaico potrebbe essere irrimediabilmente compromesso dall'imperizia dei governanti attuali. È giusto interrogarsi sulle possibili infiltrazioni di acqua, già verificatesi nell'estate del 2001, poco dopo la scoperta. Si dirà che in una fase di ristrettezze economiche l'archeologia non è una priorità, ma è anche vero che i tempi di vacche grasse sono così rari da suggerire subito l'apertura di un'ampia e costruttiva discussione. Il mosaico è nel cuore di Pescara vecchia, dove c'è da scavare anche per riportare alla luce i sotterranei della piazzaforte spagnola, scoperti casualmente nel 1973 e subito ricoperti per paura che venissero interrotti i lavori della nuova linea ferroviaria. Lì sotto c'è un tesoro. La storia.
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