«Noi, mastri della Colonnetta pronti a resistere alla crisi»

Viaggio tra le attività nate intorno al cippo reale, dallo storico bar al parrucchiere «In cinquant’anni il nostro rione è cambiato ma noi siamo sempre qui a lavorare»

MONTESILVANO. Un sarto, un calzolaio, un dopolavoro, un barbiere e poco altro. Così i più anziani ricordano la cosiddetta Colonnetta, il quartiere che si affaccia su via Vestina all'altezza della rotatoria di via Di Vittorio e piazza Don Agostinone dove sorge la scultura che da vita al rione. Oggi, dopo tanti anni, c’è chi ancora crede in quelle antiche botteghe e porta avanti giornalmente un'attività che un tempo era dei propri genitori o che egli stesso ha contribuito a far nascere. La città è cresciuta a vista d’occhio, i clienti sono cambiati, la crisi ci ha messo del suo a far tirare la cinghia a commercianti e artigiani della Colonnetta, ma nonostante tutto loro sono ancora lì, che guardano avanti senza però dimenticare la tradizione e il lungo percorso che li ha portati al punto attuale. Tra di loro c’è il sarto Giovanni Mammoli che ha smesso di fare vestiti su misura «perché non ne vale più la pena», ma che continua a portare avanti la bottega perché la pensione da sola non basta. O chi, come Luigi Verrocchio, ha rilevato l’attività del suo maestro di bottega e oggi è il calzolaio del quartiere, ma con in testa il sogno di portare la sua esperienza all’estero. E poi c’è Angelo Columbaro, titolare dell’attività Colange, che ha scelto di seguire le orme del padre Enio, barbiere storico della Colonnetta e aprire a sua volta un salone nel 1983, dove per qualche anno padre e figlio hanno lavorato insieme: «Ho iniziato con mio padre che aveva un negozio qualche metro più avanti, aperto dal 1959, poi ho frequentato accademie soprattutto a Londra». L’acconciatore racconta di come fosse diverso il quartiere tanti anni fa, con poche attività, tra cui un negozio di scarpe oggi scomparso, e tanti campetti dove i bambini potevano giocare a pallone. A cambiare è stato anche il lavoro. «Ho qualche cliente storico, ma molti vengono addirittura da fuori regione. I tempi sono cambiati, prima il salone era un posto dove trascorrere un po’ di tempo, chiacchierare di politica. Oggi il lavoro è cambiato, ci sono molti più clienti, anche donne, ma tutti vanno di corsa».

Ma c’è un posto, nel quartiere, che ha mantenuto la sua antica vocazione, ovvero quello di punto di riferimento per quanti abbiano voglia di fare 4 chiacchiere o giocare a carte: è il bar della Colonnetta, nato nel 1956 come circolo Enal per volontà del precedente titolare, Guerino Amicone, e passato vent’anni fa nelle mani di Gabriele Pancione (scomparso da due anni) e di sua moglie Isa Di Giulio che lo gestisce insieme a 2 dei 4 figli, Annalisa e Mirko. «Questo non è un bar di passaggio ma è un punto di riferimento per il quartiere, un luogo di incontro per pensionati e per chi finisce di lavorare e vuole farsi la partitella a carte o scambiare due chiacchiere», spiega la titolare che racconta di quanto siano cambiate le cose negli anni, «prima si giocava anche a bocce ma adesso gli anziani non ce la fanno più e ai giovani non piace come attività. Oppure si organizzavano delle belle gite, per esempio la domenica gli uomini andavano in trasferta a vedere le partite di calcio tutti insieme o in montagna con le tende. Avevamo anche una squadra di calcetto a 5 ed era un divertimento per molti», aggiunge la signora Isa. «Abbiamo fatto tanti sacrifici all’inizio, il bar era aperto fino a notte tarda, soprattutto d’estate, ma erano altri tempi. Oggi c’è troppa delinquenza e non si può più stare tranquilli, soprattutto da quando non c’è più mio marito». Ma nonostante tutto il bar della Colonnetta continuerà ad assolvere la sua funzione anche in futuro: «Saranno i miei figli a portare avanti l’attività di famiglia, anche perché il lavoro non si trova e far morire un’attività avviata sarebbe un peccato».

Antonella Luccitti

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