Oliveri, quando il calcio è senza sogni

Da vice presidente ha risanato il Pescara, ma gli è mancato lo slancio per il grande salto
PESCARA. Fosse stato un sognatore, avrebbe portato il Pescara dove non è mai stato e dove, forse, mai arriverà. Salvo poi pentirsene perché gli sarebbe costato un occhio della testa. Invece, Antonio Oliveri, nella sua lunga permanenza nel mondo del calcio, è stato quasi sempre più realista del re. Ragionando con la testa e non con il cuore, ha ristrutturato una società fiaccata da anni di gestioni allegre e ha dato una dimensione importante al settore giovanile.
Il tutto superando gli ostacoli, a volte davvero grandi, creati dalla diversità di vedute con il suocero Pietro Scibilia, presidente del club per quasi due decenni. Il vecchio e il giovane. Mai palesemente contro. Mai davvero in sintonia. Antonio Oliveri è stato vice presidente dal 1992-93, era in corso d'opera l'ultima comparsata dei biancazzurri nella massima serie, al 2004, quando la società è stata ceduta, con tanto di coda polemica, a Dante Paterna. Sono state annate dure, con saliscendi mozzafiato: dalla serie A accarezzata e persa in casa contro la Reggina alla rovinosa caduta in C1, passando attraverso ripescaggi da cardiopalma e avventurose salvezze con, udite udite, il coinvolgimento di un pentito della 'Ndrangheta.
Calabrese di Villa San Giovanni (Reggio Calabria), classe 1965, da ragazzo era stato un discreto trequartista sui polverosi campi del calcio giocato per puro divertimento. I suoi piedi, però, non erano da dilettante. Ne sa qualcosa l'arbitro Matteo Trefoloni da Siena, centrato da un calcione al termine di una sconfitta casalinga con il Messina che grida ancora vendetta. E quello è stato l'unico momento fuori le righe del gentleman Oliveri, di cui è sempre stata apprezzata la capacità, soprattutto nelle interviste post partita, di collegare la lingua al cervello.
Di calcio capisce. Eccome se capisce. Non a caso ha portato per due volte a Pescara Delio Rossi, ora tecnico del Palermo. Insieme avrebbero fatto cose da urlo se non ci fossero stati eccezionali impedimenti: la mancanza di soldi per rinforzare l'organico nella prima esperienza, datata 1996, i veleni della piazza nella seconda puntata, tre anni dopo.
Elegante senza essere mai eccessivo. Ricco senza diventare mai antipatico. Intelligente senza spocchia. Insomma, uno che sa stare in mezzo alla gente. E che della gente è in grado di sopportare anche gli umori corrosivi. Non ha mai ceduto alla tentazione di una reazione polemica contro i tifosi, neppure quando il gioco si è fatto davvero duro. La tormentata storia del Pescara gli ha riservato i periodi della contestazione più feroce, anche se in molti casi è stato solo il bersaglio di riserva dopo l'odiato Scibilia. Nell'estate del 2000, tanto per rendere l'idea, all'interno del Carlton, il suo albergo sul lungomare pescarese, a due passi dalla Nave di Cascella, hanno lanciato un ordigno rudimentale. Era in sentito ringraziamento per la retrocessione in C1 dopo 18 anni tra serie A e B.
Avrebbe potuto dire qualcosa, Oliveri, dopo la promozione in B nel 2003: molti di quelli che 10 mesi prima avevano preso a gavettoni la squadra il giorno della presentazione ufficiale, se li era ritrovati al fianco per i festeggiamenti. «I tifosi sono così», diceva. «Aiutiamoli a sbagliare di meno, sperando che loro facciano altrettanto con noi».
Con i giornalisti ha quasi sempre avuto un buon rapporto perché sa incassare i colpi. Gli è subito apparso chiaro un concetto: certi articoli, gli eroi del calcio se li scrivono da soli con i loro comportamenti. E, di conseguenza, non si è offeso quando Il Centro ha svelato che era una gran balla la storia raccontata sul mancato ingaggio del centravanti Cappellini dell'Empoli, nell'inverno del 1997. Ma quale rifiuto del trasferimento per non allontanare la figlia dai compagni di scuola. Cappellini non aveva figli. Il Pescara si era inventato una scusa per non affrontare l'onere dell'acquisto che veniva dato per scontato dalla piazza.
Forte dell'abilità di mercante del direttore sportivo Andrea Iaconi, che gli è stato vicino per quasi tre lustri, Oliveri ha griffato alcuni colpi da mercato da gran maestro. Iaconi aveva le intuizioni geniali e lui il coraggio di avallarle. Due storie su tutte. La prima tira in ballo proprio Rossi che, deciso a lasciare i biancazzurri per tornare alla Salernitana malgrado un vincolo contrattuale, è stato fatto partire solo quando un giocatore biancazzurro in realtà non richiesto, il centravanti Renato Greco, è stato preso dai campani per un miliardo di lire. Un pacchetto tutto compreso, insomma. La seconda riguarda Federico Giampaolo, sul cui talento nessuno era più disposto a scommettere. "Fede", poco più che ventenne, disoccupato, si allenava da solo sul lungomare di Giulianova. Messo sotto contratto a mo' di scommessa, coccolato e stimolato al punto giusto, negli anni è diventato il miglior bomber biancazzurro di tutti i tempi (65 gol in campionato e 4 in Coppa Italia) nonché una cessione miliardaria al Genoa.
Con i calciatori è stato quasi sempre leale e, proprio per questo, tanti sono tornati in biancazzurro quando hanno ricevuto la chiamata. Vengono in mente i nomi di Palladini, Allegri, Terracenere, Dicara, Mezzanotti, Esposito e lo stesso Giampaolo. Il quasi fa riferimento alla disavventura di Andrea Cecchini, bomber della promozione in serie B, leader di una squadra costretta a navigare nella tempesta della perenne contestazione. Il centravanti, al momento di rinnovare il rapporto, ha chiesto un biennale invece di un contratto annuale. Dopo un prevedibile braccio di ferro, la società ha tagliato corto: "Ceccho sei uno di noi, ti vogliamo premiare con un triennale". E Cecchini, felicissimo, ha firmato. Peccato che il contratto non sia mai stato registrato. Un mese dopo, l'attaccante è stato ceduto al Padova, in C1.
Giusto dire, se si parla di contratti, che il Pescara di Oliveri (ma anche di Scibilia) ha garantito 12 mesi di stipendio al mediano Terracenere, costretto da un infortunio a chiudere in anticipo la carriera proprio mentre trattava il rinnovo. Anni prima, la società si era comportato allo stesso modo con il diggì Pierpaolo Marino, incappato in una squalifica per illecito sportivo.
Il tutto superando gli ostacoli, a volte davvero grandi, creati dalla diversità di vedute con il suocero Pietro Scibilia, presidente del club per quasi due decenni. Il vecchio e il giovane. Mai palesemente contro. Mai davvero in sintonia. Antonio Oliveri è stato vice presidente dal 1992-93, era in corso d'opera l'ultima comparsata dei biancazzurri nella massima serie, al 2004, quando la società è stata ceduta, con tanto di coda polemica, a Dante Paterna. Sono state annate dure, con saliscendi mozzafiato: dalla serie A accarezzata e persa in casa contro la Reggina alla rovinosa caduta in C1, passando attraverso ripescaggi da cardiopalma e avventurose salvezze con, udite udite, il coinvolgimento di un pentito della 'Ndrangheta.
Calabrese di Villa San Giovanni (Reggio Calabria), classe 1965, da ragazzo era stato un discreto trequartista sui polverosi campi del calcio giocato per puro divertimento. I suoi piedi, però, non erano da dilettante. Ne sa qualcosa l'arbitro Matteo Trefoloni da Siena, centrato da un calcione al termine di una sconfitta casalinga con il Messina che grida ancora vendetta. E quello è stato l'unico momento fuori le righe del gentleman Oliveri, di cui è sempre stata apprezzata la capacità, soprattutto nelle interviste post partita, di collegare la lingua al cervello.
Di calcio capisce. Eccome se capisce. Non a caso ha portato per due volte a Pescara Delio Rossi, ora tecnico del Palermo. Insieme avrebbero fatto cose da urlo se non ci fossero stati eccezionali impedimenti: la mancanza di soldi per rinforzare l'organico nella prima esperienza, datata 1996, i veleni della piazza nella seconda puntata, tre anni dopo.
Elegante senza essere mai eccessivo. Ricco senza diventare mai antipatico. Intelligente senza spocchia. Insomma, uno che sa stare in mezzo alla gente. E che della gente è in grado di sopportare anche gli umori corrosivi. Non ha mai ceduto alla tentazione di una reazione polemica contro i tifosi, neppure quando il gioco si è fatto davvero duro. La tormentata storia del Pescara gli ha riservato i periodi della contestazione più feroce, anche se in molti casi è stato solo il bersaglio di riserva dopo l'odiato Scibilia. Nell'estate del 2000, tanto per rendere l'idea, all'interno del Carlton, il suo albergo sul lungomare pescarese, a due passi dalla Nave di Cascella, hanno lanciato un ordigno rudimentale. Era in sentito ringraziamento per la retrocessione in C1 dopo 18 anni tra serie A e B.
Avrebbe potuto dire qualcosa, Oliveri, dopo la promozione in B nel 2003: molti di quelli che 10 mesi prima avevano preso a gavettoni la squadra il giorno della presentazione ufficiale, se li era ritrovati al fianco per i festeggiamenti. «I tifosi sono così», diceva. «Aiutiamoli a sbagliare di meno, sperando che loro facciano altrettanto con noi».
Con i giornalisti ha quasi sempre avuto un buon rapporto perché sa incassare i colpi. Gli è subito apparso chiaro un concetto: certi articoli, gli eroi del calcio se li scrivono da soli con i loro comportamenti. E, di conseguenza, non si è offeso quando Il Centro ha svelato che era una gran balla la storia raccontata sul mancato ingaggio del centravanti Cappellini dell'Empoli, nell'inverno del 1997. Ma quale rifiuto del trasferimento per non allontanare la figlia dai compagni di scuola. Cappellini non aveva figli. Il Pescara si era inventato una scusa per non affrontare l'onere dell'acquisto che veniva dato per scontato dalla piazza.
Forte dell'abilità di mercante del direttore sportivo Andrea Iaconi, che gli è stato vicino per quasi tre lustri, Oliveri ha griffato alcuni colpi da mercato da gran maestro. Iaconi aveva le intuizioni geniali e lui il coraggio di avallarle. Due storie su tutte. La prima tira in ballo proprio Rossi che, deciso a lasciare i biancazzurri per tornare alla Salernitana malgrado un vincolo contrattuale, è stato fatto partire solo quando un giocatore biancazzurro in realtà non richiesto, il centravanti Renato Greco, è stato preso dai campani per un miliardo di lire. Un pacchetto tutto compreso, insomma. La seconda riguarda Federico Giampaolo, sul cui talento nessuno era più disposto a scommettere. "Fede", poco più che ventenne, disoccupato, si allenava da solo sul lungomare di Giulianova. Messo sotto contratto a mo' di scommessa, coccolato e stimolato al punto giusto, negli anni è diventato il miglior bomber biancazzurro di tutti i tempi (65 gol in campionato e 4 in Coppa Italia) nonché una cessione miliardaria al Genoa.
Con i calciatori è stato quasi sempre leale e, proprio per questo, tanti sono tornati in biancazzurro quando hanno ricevuto la chiamata. Vengono in mente i nomi di Palladini, Allegri, Terracenere, Dicara, Mezzanotti, Esposito e lo stesso Giampaolo. Il quasi fa riferimento alla disavventura di Andrea Cecchini, bomber della promozione in serie B, leader di una squadra costretta a navigare nella tempesta della perenne contestazione. Il centravanti, al momento di rinnovare il rapporto, ha chiesto un biennale invece di un contratto annuale. Dopo un prevedibile braccio di ferro, la società ha tagliato corto: "Ceccho sei uno di noi, ti vogliamo premiare con un triennale". E Cecchini, felicissimo, ha firmato. Peccato che il contratto non sia mai stato registrato. Un mese dopo, l'attaccante è stato ceduto al Padova, in C1.
Giusto dire, se si parla di contratti, che il Pescara di Oliveri (ma anche di Scibilia) ha garantito 12 mesi di stipendio al mediano Terracenere, costretto da un infortunio a chiudere in anticipo la carriera proprio mentre trattava il rinnovo. Anni prima, la società si era comportato allo stesso modo con il diggì Pierpaolo Marino, incappato in una squalifica per illecito sportivo.
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